Gennaio 13

La Formazione nel Contratto Integrativo: l’obbligatorietà da costruire

imagesDPCXLR3SLa Formazione nel Contratto Integrativo: l’obbligatorietà da costruire
di Antonio Valentino

La formazione è obbligatoria. Parola di Sindacato

Il Contratto integrativo del novembre scorso sembra considerare la formazione in servizio ancora solo come diritto, contrariamente a quando afferma la L. 107/2015;  parecchi interventi, soprattutto in rete, del periodo prenatalizio, esprimevano disappunto e preoccupazione, trattandosi di attività diventata essenziale e fondamentale nella professione docente nella scuola dell’Autonomia e della nuova complessità.

Destinatari del messaggio implicito, soprattutto le Organizzazioni Sindacali confederali.

Anche se un po’ in ritardo (23 dicembre) è arrivata la risposta della CISL scuola che con un suo comunicato afferma tra l’altro: È fuori discussione, … che dal Piano di formazione d’istituto, che obbligatoriamente deve essere inserito nel PTOF, discendano obblighi precisi e ineludibili per tutto il personale: tante è vero che il terzo comma dell’art. 2 …. assegna al Piano stesso anche il compito di precisare le caratteristiche delle attività e le modalità di attestazione”. E nella conclusione si precisa: “…la formazione in servizio, anche dopo la sottoscrizione del Contratto integrativo, continua ad essere obbligatoria, permanente e strutturale come previsto dalla legge 107/2015”. Dalle altre organizzazioni sindacali non arrivano comunicati ufficiali di chiarimento.

Però …

Preso atto positivamente del chiarimento della CISL, è comunque piuttosto difficile non convenire che il testo del contratto, per come scritto, può sollevare dubbi e perplessità ne solleva.

Si ricorderà che

  1. in nessun passaggio del Contratto si fa riferimento all’obbligo di formazione (neanche nelle Premesse);
  2. l’articolo 2, comma 2, afferma anzi che “Nelle scuole il personale esercita il diritto alla formazione in servizio anche nella forma dell’aggiornamento individuale”.

 

Ma la partita non è chiusa. L’obbligatorietà da costruire

Comunque, dando per acquisito che gli obblighi di formazione valgono per tutto il personale, sui termini dell’obbligatorietà, la partita non appare del tutto chiusa. Per cui può valere la pena riprenderli con qualche approfondimento.

Come è noto, un posto centrale sulla questione va attribuito al Piano annuale di formazione (PdF) per i docenti, del quale si afferma che, in ogni scuola,

  1. è realizzato in coerenza con gli obiettivi del PTOF, con le priorità nazionali e con i processi di ricerca didattica, educativa e di sviluppo, considerate anche le esigenze ed opzioni individuali (CCNI 2019) e contiene precisazioni circa le caratteristiche delle attività (?) e le modalità di attestazione (della partecipazione alle iniziative di formazione?) (CCNI 2019),
  2. è deliberato dal Collegio (art. 66 CCNL 2007) e si articola in iniziative promosse prioritariamente dall’amministrazione e progettate dalla scuola autonomamente o consorziata in rete …. (art. 66 CCNL 2007).

In questi passaggi non sembrano però cogliersi indicazioni utili su come e, soprattutto, in quali spazi orari il diritto-dovere si esercita. Si può invece dedurre dall’art. 29 (comma 1), del CCNL 2007 che, trattandosi di attività funzionale all’insegnamento, essa vada esercitata durante l’orario di servizio.  Ma lo stesso articolo (comma 3), quando va a declinare le attività – individuali e collegiali – per le quali si prevede il monte ore (fino a 40 h per ciascuna tipologia), non cita la formazione, perché ‘la formazione obbligatoria’ diventa tale solo nel 2015 con la L. 107.

Penso che il problema di fronte al quale ci troviamo nasca proprio da qui. Si sconta, se il ragionamento è corretto, la mancanza, nel recente Contratto integrativo, del necessario aggiornamento della norma sulla base del comma 142 della Legge citata. E cioè l’inserimento della formazione tra le attività funzionali e il conseguente potenziamento del monte ore (e il relativo riconoscimento per il nuovo impegno).

Tale aggiornamento l’avrebbe sottratta definitivamente alla situazione di incertezza in cui ha sempre navigato.

il problema che abbiamo oggi davanti è dunque che mancano ancora – se non sfugge qualcosa – le condizioni dell’obbligatorietà.

D’altra parte, allo stato attuale, è ben difficile ipotizzare una sottrazione di ore ad attività funzionali previste (il riferimento qui è a quelle collegiali), del cit. art. 29, per riversarle sulla formazione: la qualità complessiva dell’offerta formativa delle scuole certamente ne risentirebbe e la proposta sarebbe vista come scandalosa, considerando la situazione preoccupante che la nostra a scuola si trova a vivere.

La via d’uscita?  prevedere nel prossimo contratto, che si prospetta imminente, l’aggiornamento mancato nell’Integrativo di novembre, e il necessario potenziamento del monte ore.

È poi anche auspicabile che, accanto al potenziamento del monte ore, possa  essere anche inserito un qualche criterio, ovviamente flessibile, volto a  orientare le scelte delle scuole a livello nazionale[1]: visto che l’attività di cui si parla è elemento importante per il funzionamento di una Istituzione pubblica Nazionale come la Scuola; e considerato anche che l’Autonomia Scolastica, che si invoca anche in questo caso, non può scadere in un ‘fai da te’ che escluda indicazioni comuni.

La diffusa sofferenza sulla obbligatorietà nella formazione

Riprendo, in chiusura di questo punto, una osservazione di Armando Catalano – stimato dirigente flc, già coordinatore nazionale dei DS in quella organizzazione – che, sui temi che qui si trattano, mi faceva rilevare la diffusa sofferenza fra il personale circa l’obbligatorietà“. Che comunque – aggiungeva – non portava il sindacato a dissociarsi sul carattere obbligatorio strutturale e permanente della formazione, come previsto dalla L. 107.  ‘Tanto che lo stesso CCNI ci fa i conti”.

Il richiamo alla ‘diffusa sofferenza’ merita una attenzione particolare perché rimanda al problema della motivazione dei docenti e alla diffusa perdita di senso della professione, che si accompagna, a sua volta, alla perdita di ruolo nella società; e quindi alla difficoltà a viversi – gli insegnanti –  come leva di una democrazia più consapevole e matura, perché più colta, più ‘eguale’ e più attrezzata per le sfide a cui è chiamata.

Questione questa che rinvia, se ancora ci fosse bisogno di richiamarlo

  1. alla necessità di politiche del personale volte a incentivare la cura e lo sviluppo professionale attraverso una offerta formativa (percorsi di formazione) sensata, efficace e attrattiva;
  2. alla previsione, anche attraverso la formazione, di più stimolanti progressioni economiche e prospettive di carriera; visti, questi ultimi, come riconoscimenti della funzione sociale della professione.

Se non si fanno i conti con tali problemi di fondo, si corre il rischio – vale la pena ribadirlo – che la formazione obbligatoria difficilmente dia luogo a sviluppo professione all’altezza e a responsabilità convinta rispetto alla gestione e ai risultati del fare scuola oggi.

Su ‘esigenze ed opzioni individuali’ e forme di auto-aggiornamento

Qualche considerazione infine sulle esigenze ed opzioni i personali e forme di aggiornamento individuale sempre dell’art. 2 del Contratto integrativo -, poco richiamate nei commenti letti. Trattandosi di un punto che, a mio avviso, investe aspetti di sostanza che riguardano il tipo di scuola che si ha in mente.

Il richiamo insistito nel Contratto all’aggiornamento personale e alle opzioni individuali – se visti come eventualmente sostitutivi delle forme collegiali – sembra mirare infatti a rassicurare soprattutto quella fetta di insegnanti che fa della visione individualistica e autoreferenziale del fare scuola il proprio credo professionale. Visione dietro la quale si può cogliere

  1. disattenzione rispetto allo scambio di esperienze, che è meccanismo prezioso per la crescita professionale,
  2. sottovalutazione della cooperazione tra persone anche se impegnate sullo stesso progetto curricolare ed educativo,
  3. negazione dell’idea di scuola come insieme di comunità professionali e di pratiche, leve potenti per una scuola di qualità.

 

Per evitare fraintendimenti: l’autoaggiornamento personale e l’autoformazione individuale sono ovviamente cose buone e giuste ed è certamente importante che ciascuno le possa coltivare attraverso le cento occasioni che si offrono a livello di territorio o nazionale, sia da parte dell’amministrazione che dell’associazionismo professionale o di altre agenzie, e utilizzando il bonus dei 500 euro.

Ogni formazione – e su questo nessun dubbio – passa necessariamente attraverso momenti importanti e decisivi di rielaborazione e metabolizzazione individuale dei processi formativi, quali che siano i luoghi e i modi dei vari percorsi.

Quello che si vuol dire è che la formazione del personale in servizio, se non mette in primo piano la dimensione collegiale del lavoro docente e strategie comunicative e didattiche basate sulla cooperazione, difficilmente potrà far fronte ai problemi della scolarità di massa e della fase particolarmente complessa che viviamo.

Si deve però avere anche consapevolezza che quella della dimensione collegiale è partita lunga e impegnativa. Venendo la nostra scuola da una tradizione culturale e professionale in cui sentirsi comunità di intenti e pratiche formative non è mai stato ambizione diffusa.


 

 [1] Antonio  Giacobbi in un intervento, di prossima pubblicazione, che ricostruisce tra l’altro i vari passaggi sulle attività funzionali,  avanzain prima battuta  l’ipotesi di “un unico monte ore (almeno 90/100 ore),  col vincolo per il collegio docenti – al quale spetta il compito di distribuire le ore tra le varie attività – a definire anche un minimo di ore di formazione, non inferiore a 15/20….”.


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Posted 13 Gennaio 2020 by admin in category articoli

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