La fragilità degli studenti
La fragilità degli studenti
di Stefano Stefanel
Il punto di partenza me l’ha dato l’amico Piervincenzo di Terlizzi con un messaggio via whatsapp: “Poi verrà il momento di capire tutto questo: con l’aiuto di famiglie e ragazzi”. Il pensiero agli studenti di oggi è un pensiero alla loro fragilità esistenziale, messa alla prova da un evento epocale, che nessuno aveva immaginato. Su quello che sta succedendo suggerisco di leggere il completamente condivisibile articolo di Paolo De Nardo (La scuola dopo il Covid-19, www.edscuola.it, 18 marzo), l’ottimo intervento di Ariella Bertossi (Covid-19: come si rovescia il sistema, www.edscuola.it, 14 marzo) oltre ai testi ministeriali, in primo luogo la Nota n° 388 del 17 marzo firmata dal Direttore generale Marco Bruschi, con annesse le reazioni dei sindacati (Richiesta ritiro nota n° 388 del 18 marzo), quelle di alcuni dirigenti scolastici (Comunicato stampa: La scuola non è dei sindacati, è degli studenti del 18 marzo), quelle di Anp (Pavlov è vivo, 18 marzo). Ciò che appare evidente in tutto questo è che il sistema scolastico italiano è mutato in meno di un mese e si trova a fare i conti con la instabilità del futuro. In questo mutamento epocale della scuola e della società in cui tutte le priorità si sono ribaltate i giovani in età scolare (dai 3 ai 19 anni) sono quelli più esposti alla perdita di punti di riferimento. Quindi sono i più fragili. La loro fragilità nasce dalla mancanza di esperienze pregresse utili a leggere il tempo presente: chi è avanti negli anni “ne ha viste molte”, come si dice e cerca di comprendere in che modo inserire nella sua vita questo avvenimento. Chi, invece, ne ha viste poche non sa da che parte girarsi.
I giovani si stavano occupando d’altro e non avevano alcuna percezione che tutto fosse così debole e incerto e che una pandemia potesse entrare nella vita dell’occidente e dell’oriente, sconvolgendo entrambi. La globalizzazione, vissuta come connettività totale, libera circolazione, scambi, viaggi, merci e on line si è andata a infrangere contro una pandemia da nessuno attesa e quindi senza difese pronte. Poiché stiamo tutti combattendo una guerra che nessuno ha dichiarato siamo spaesati e dentro questo spaesamento siamo impauriti. Gli studenti sono anche molto fragili: gli abbiamo spiegato un mondo, ma si trovano a viverne un altro.
E DIAMOLO QUESTO VALORE
La scuola in questa fase deve imparare a valutare e a usare il termine valutazione nel suo significato letterale: dare valore a quello che viene fatto, cercare di capire quello che vale, evidenziare il valore aggiunto, premiare il valore dell’apprendimento e dello studio. La Didattica A Distanza è entrata di prepotenza nell’immaginario scolastico e tutte le idee repressive sull’uso dei device sono sparite in un attimo, anzi molti ex “repressori” vorrebbero mettere note di demerito agli studenti che non si connettono alle loro lezioni (spesso molto frontali come quelle in aula). Il paradigma è mutato profondamente e la necessità sentita dai docenti di continuare a fare scuola anche se in maniera differente è condivisa dagli studenti e dalle famiglie che stanno seguendo questa strana scuola via web. A questo in primo luogo bisogna dare valore: al lavoro dei docenti, eccezionale in tutto e per tutto; al lavoro degli studenti che si fanno forza della loro fragilità per rimanere ancorati attraverso la scuola alla società. E poiché dopo il tempo dell’emergenza verrà il tempo delle scelte bisognerà capire che principale scelta da fare è quella su ciò a cui bisogna dare valore.
Salute e scuola in questo momento mostrano come il nostro vivere insieme si basi su bisogni essenziali e forti e questo è un altro punto attraverso cui dare valore ai nostri studenti. Il lavoro a distanza ha bisogno di riconoscimenti ancora più forti del lavoro in presenza: per questo ritengo sia doveroso riconoscere attraverso i voti il lavoro scolastico positivo che viene fatto a casa e on line. Perché parlo del lavoro scolastico positivo? Perché io credo che la valutazione in questa fase non debba essere una misurazione di intervalli o di raggiungimento di standard che non possono esistere, ma debba invece essere il riconoscimento alto e forte delle potenzialità positive di chi studia come non avrebbe mai immaginato di dover fare.
La fragilità dello studente si protegge e si cura attraverso il riconoscimento del positivo, non attraverso la misurazione del negativo. L’anno scolastico è irregolare a tutti gli effetti (e al Ministero lo sanno bene e anche in questo senso penso vada letta l’intelligente nota 388 di Bruschi) e dentro questa irregolarità vanno garantiti tutti e l’unico modo per farlo è quello di valorizzare tutte le cose buone che si fanno dando loro valore. I difetti è facile trovarli, i pregi invece sfuggono nel grande mare della disattenzione: è tempo che tutto questo finisca e che il valore venga sempre riconosciuto nel momento in cui c’è. Il richiamo al DPR 122/2009 quando dice che la “valutazione è trasparente e tempestiva” ci può venire in aiuto: la trasparenza sta nell’individuare attraverso meccanismi chiari e pubblici cosa deve essere valutato (nel senso, appunto, di “dare valore”); la tempestività richiede che appena vedo qualcosa di positivo lo registri.
USIAMO IL 10
Una delle caratteristiche più strane della scuola italiana è che il 10 è più facile prenderlo all’Università (lì lo chiamano 30) che alle scuole medie. C’è un’idea di standard che aleggia nella scuola italiana secondo cui il 10 deve corrispondere alla conoscenza “assoluta” e all’abilità chiaramente manifestata con perizia. E così i 10 non si danno e si assegnano a lavori di eccellenza degli 8 o forse dei 9. Io penso che invece questo sia il tempo dei 10: che siano pochi, ma intensi, individuati con cura e attribuiti con tempestività. Io penso che se dati con attenzione i 10 aiuteranno il sistema a reggere la crisi e potranno intervenire sugli studenti facendo vedere che il futuro è possibile. Il sistema scolastico, ma anche quello sociale viene migliorato dalle performance dei migliori, non dal numero di “aiuti” con cui vengono promossi gli studenti in difficoltà (le famigerate stelline delle piattaforme e dei registri elettronici). Bisogna aiutare gli studenti a dare il massimo, saper leggere l’eccellenza, saper capire il positivo, comprendere le competenze di chi oggi sta lontano a studiare dentro scenari inediti.
Il ritorno a scuola dentro un anno epocale e irregolare non dovrà essere l’inseguimento di programmi non conclusi dentro verifiche cartacee aggressive e dedite all’assurda misurazione del passato, ma devono in primo luogo comprendere a che punto è lo studente: non quello generico che non esiste, ma quello che abbiamo davanti con la sua singolarità, il suo dolore, il suo stupore, le sue incapacità, i suoi slanci e la sua fragilità. Prima di ripartire lancia in resta sarà necessario capire quanto è fragile lo studente che abbiamo davanti e quanto questa fragilità è stata accentuata dall’emergenza. Proprio perché ci dovranno essere garanzie per tutti gli studenti, che stanno vivendo un anno scolastico inimmaginabile, è necessario avere una grande cura nel dare valore agli studenti che sono stati in grado di studiare, migliorare e apprendere in questi momenti difficile e con una Didattica a Distanza che nessuno aveva sperimentato con queste modalità totalizzanti e uniche. D’altronde in questo momento se non c’è una Didattica a Distanza non c’è alcuna didattica: e questa è una novità per i docenti, ma soprattutto per gli studenti.
I Dirigenti scolastici sono chiamati a dare equilibrio a tutto questo evitando che tutto diventi un grande equivoco su cosa è obbligatorio e cosa no, se il voto a distanza vale o non vale e altre stupidaggini che purtroppo circolano. Bisogna presidiare, non controllare; favorire non imporre; capire non comandare; aiutare non pretendere; condividere non obbligare. Insomma è nato un nuovo ruolo anche per il Dirigente scolastico che deve farsi carico di quella didattica che spesso ha lasciato al suo destino per occuparsi di privacy, sicurezza, acquisto della carta igienica, concessione di permessi, graduatorie e via di seguito. L’emergenza chiede equilibrio a chi è più forte: Dirigenti e Docenti sono più forti degli studenti e devono farsi carico della cura. Gli studenti ne verranno fuori diversi e questo sarà uno spartiacque profondo, dove la salute e la scuola balzeranno davanti agli altri problemi che torneranno con la loro potenza scomposta dopo l’emergenza.
Un’ultima cosa: siamo passati da social dove l’odio, la violenza, la cattiveria e l’ignoranza la facevano da padroni a social diventati strumento di aiuto, supporto, dialogo. Prima c’era troppa violenza, oggi c’è forse troppa “melassa” (anche da parte mia) e dunque presto anche i social muteranno di nuovo. Ma tra la violenza e la melassa sceglierò sempre la melassa e credo che anche questa sia una mutazione non da poco: un sistema di comunicazione che si credeva forte ora si sente fragile e lo fa con tutte le debolezze proprie della natura umana.