Pillole pedagogiche
Pillole pedagogiche
di Maurizio Tiriticco
In questo triste periodo del tutti a casa e dell’insegnamento a distanza, non è male riandare a quanto illustri pedagogisti ci hanno ricordato anni fa.
PREMESSA – “L’atto di imparare o di studiare è artificiale e inefficace nella misura in cui agli allievi viene semplicemente assegnata una lezione da imparare. Lo studio è efficace nella misura in cui l’allievo capisce il ruolo che la verità numerica di cui si occupa ricopre in relazione alla messa a profitto di attività a cui è interessato. Questo legame di un oggetto e di un argomento con la promozione di un’attività tendente ad un fine, è la prima e l’ultima parola di una teoria genuina dell’interesse nell’educazione”. Sono parole di John Dewey, in “Democrazia e Educazione”, La Nuova Italia, Firenze, 1949, pag.173. Attenzione! “Democracy and Education” fu pubblicato a New York nel 1916. Fu tradotto in Italia soltanto nel secondo dopoguerra: nel 1949, tradotto da Enzo Enriques Agnoletti e Paolo Paduano per i tipi de “La Nuova Italia”, di Firenze. La “pedagogia fascista” mirava ad indottrinare i giovani, non a liberarne il pensiero e la creatività. Non a caso il Ministero della Pubblica Istruzione era stato ridenominato Ministero dell’Educazione Nazionale. Ma educare a che cosa? Solamente al “credo fascista”! Tutti gli Italiani, piccoli e grandi, furono tenuti a giurare secondo la seguente formula: “Nel nome di Dio e dell’Italia, giuro di eseguire senza discutere gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se è necessario, col mio sangue la causa della Rivoluzione Fascista”. A mia memoria – nato nel 1928 – chissà quanto volte avrò giurato! All’inizio dell’anno scolastico e a tutte le ricorrenze del Regime! In primis il 28 ottobre anniversario della “marcia su Roma”.
UNO – Jerome Seymour Bruner ci ricorda ne “La sfida pedagogia americana”, Armando, Roma, 1973, pag. 47, i cinque principi educativi formulati da John Dewey: 1) tutta l’istruzione è frutto della progressiva partecipazione dell’individuo alle cognizioni possedute in comune dal genere umano; 2) poiché l’istruzione è, in tal modo, un processo sociale, la scuola non è che quell’aspetto della vita sociale in cui si accentrano i fattori meglio adatti a favorire quella partecipazione e a far sì che il fanciullo utilizzi le proprie facoltà per fini sociali. L’istruzione è, quindi, un processo inerente alla vita, e non già una fase preparatoria a un successivo periodo di essa; 3) il vero centro dei programmi di insegnamento non è pertanto questa o quelle materia specifica, bensì l’insieme delle attività del fanciullo nel quadro sociale, quadro efficacemente rappresentato, come già detto, dalla scuola; 4) il concetto informatore dell’insegnamento dev’essere fondato sulla natura stessa del fanciullo, caratterizzata dal predominio del suo aspetto attivo su quello passivo, cioè dal fatto che la vita cosciente tende a tradursi in azione; 5) l’istruzione è il metodo fondamentale del progresso e della riforma sociale”.
DUE – Robert Frank Mager in “Come sviluppare l’atteggiamento ad apprendere”, Giunti e Lisciani Editori, Teramo, 1983, a pagina 74 ci ricorda che “l’onestà con cui lo studente risponde alle domande che gli vengono poste dipende in parte dalla fiducia che egli ha in che gli rivolge la domanda. Se lo studente ha poca fiducia, farà del suo meglio per dare quelle risposte che ritiene opportune, cioè risposte che lo possano danneggiare il meno possibile. Se ha molta fiducia, ritiene che non sia necessario nascondere quello che pensa realmente e, con molta probabilità, risponderà alle domande più accuratamente”.
TRE – Raffaele Laporta in “Insegnanti come e perché”, Giunti e Lisciani Editori, Teramo, 1984, pag. 25: “L’insegnante nella scuola di massa. L’insegnante oggi ha a che fare con una professionalità molto differente dal passato. Potremmo limitarci a ricordare che l’insegnante della tradizione scolastica non solo italiana, ma occidentale, era – quanto ai contenuti del proprio lavoro – un interprete della cultura consolidata nella sua società, quanto ai metodi, un autodidatta molto empirico, quanto ai rapporti con la realtà sociale quotidiana… L’insegnante di questo nostro tempo non può più mantenere caratteri così ‘chiusi’. Le sue prestazioni professionali devono oggi realizzarsi in una realtà che ha poche consegne da dargli, ma ha in compenso molte cose sa chiedergli. Le richieste hanno luogo quasi sempre in forme poco esplicite: hanno la forma di pressioni e conflitti politici, di stimolazioni culturali (di una cultura ormai così cronicamente in crisi, da far pensare che la crisi sia un suo carattere necessario), di suggestioni scientifico-educative”.
QUATTRO – Mauro Laeng in “Educazione alla libertà”, Giunti e Lisciani Editori, Teramo, 1980, pag. 39. “La libertà che si esprime nelle diverse visioni del mondo è per altro un punto di arrivo più che un punto di partenza. Pretendere che i ragazzi capiscano al volo cose come la tolleranza religiosa o la lotta di classe, per fare due esempi, vuol dire solo che gli stessi insegnanti ne hanno capito ben poco. Ciò non significa che in concreto i ragazzi non capiscano invece che cosa vuol dire rispettare le credenze di un compagno di un’altra confessione o comprendere anche i motivi di uno sciopero. E’ proprio le percezione concreta e vissuta che deve essere valorizzata; ciò vuol dire anche, però, evitarne ogni interpretazione esclusivamente unilaterale”.
CINQUE – Benjamin Samuel Bloom, David Reading Krathwohl, Bertram B. Masia, in “Tassonomia degli obiettivi educativi, la classificazione delle mete dell’educazione, volume secondo: area affettiva”, Giunti e Lisciani Editori, Teramo, 1984, pag. 95. “Tassonomia del dominio affettivo: 1. Ricezione: consapevolezza, disposizione a ricevere, attenzione controllata o selezionata; 2. Risposta: acquiescenza, disposizione, soddisfazione; 3. Valutazione: accettazione, preferenza, impegno; 4. Organizzazione: concettualizzazione di un valore; organizzazione di un sistema di valori; 5: Caratterizzazione: tendenza, caratterizzazione.
SEI – Aldo Visalberghi, “Pedagogia e Scienze dell’Educazione”, con la collaborazione di Roberto Maragliano e Benedetto Vertecchi, Oscar Studio Mondadori, Milano, 1978.
SETTE – Benedetto Vertecchi in “Manuale della valutazione”, Editori Riuniti, Roma, 1984. Contiene una serie di indicazioni per gli insegnanti quando conducono una interrogazione: stimolo aperto e risposta aperta; stimolo aperto e risposta chiusa; stimolo chiuso e risposta aperta; stimolo chiuso e risposta chiusa.
Mah! Solo un serie di appunti! In relazione a cose scritte ieri! Ma che sembrano scritte oggi!