Concorso per DS: aspettando il nuovo bando
Concorso per DS: aspettando il nuovo bando.
di Antonio Valentino
Entro dicembre dovrà essere bandito il prossimo concorso per aspiranti al ruolo di DS.
Come è noto, il nuovo concorso si svolgerà con modalità concorsuali in parte diverse da quello del 2011. Se ne richiamano le più significative
• Viene bandito annualmente – per tutti i posti vacanti e disponibili nelle dotazioni organiche regionali – e gestito dalla Scuola Nazionale della pubblica Amministrazione, che curerà anche la formazione dei vincitori di concorso
• le prove scritte saranno nazionali (non più quindi definite regionalmente; come pure saranno, per le stesse, definiti criteri comuni per la valutazione
• il colloquio si svolgerà a Roma.
Sulla tipologia delle prove scritte è probabile che non si ricorrerà più, per la prima, all’elaborato (il vecchio tema), ma piuttosto a dei quesiti a risposta sintetica; questa modalità di svolgimento potrà essere anche della seconda prova scritta di carattere pratico (che dovrebbe riguardare ancora l’analisi di casi).
L’emanazione a breve del Regolamento permetterà di avere risposta ai vari aspetti ancora problematici – uno di questi riguarda la conferma o meno della prova preselettiva – e di disporre del calendario degli adempimenti e delle prove.
In questa fase, un po’ di recupero di memoria dei fatti più problematici e incresciosi dell’ultimo concorso potrà probailmente fare bene.
Tralasciando i non pochi casi imputabili a incuria (che sembra essere diventata ormai un tratto comportamentale del nostro paese), potrebbe riuscire utile concentrarsi su alcuni aspetti che appaiono nodali. Qui se ne consideranno i seguenti: il senso della prova preselettiva attraverso quesiti a scelta multipla, le caratteristiche della seconda prova scitta (l’analisi dei casi), la scelta e la formazione delle commissioni.
Ovviamente, non per gusto di accademia, ma perché, attraverso le associazioni professionali e le organizzazioni sindacali, possa arrivare alle “alte sfere” qualche utile sollecitazione.
Sulla prova preselettiva: non mi iscriverò anch’io alla lista dei denigratori dei quiz a tutti i costi.
I quiz presentano certamente criticità di varia natura (anche se fatti bene), ma comunque, per una prova preselettiva che serva a sfoltire in prima battuta il numero dei partecipanti, attraverso l’accertamento di “conoscenze di base per lo svolgimento delle funzioni”, i quesiti a scelta muplipla ci possono ben stare. Qui ovviamente non si considerano i casi di quesiti mal costruiti o sbagliati o pesantemente ambigui dell’ultimo concorso. Che pure qualche interrogativo lo pongono, visto che si tratta di 1000 quesiti su 5000: un mare!
Potrebbe risultare invece più interessante approfondire il discorso del numero complessivo di domande da cui selezionare i quesiti per i singoli candidati. Nella tornata precedente era, se non sbaglio, intorno alle 5000 unità ed è stato opportunamente messo a disposizione dei candidati per orientarne, penso, la preparazione.
Un primo interrogativo: un numero così consistente di quesiti (per ciascuna delle sei aree tematiche superano generalmente le 700 domande) è più orientante o più dispersivo?
E ancora: se l’obiettivo della prova preselettiva rimane quello di accertare “le conoscenze di base”, non andrebbe forse garantita una maggiore coerenza con l’assunto del Regolamento concorsuale, evitando il nozionismo insensato e soprattutto garantendo che le domande attengano a conoscenze di base?
Se la prima richiesta implicita nel primo interrogativo può presentare difficoltà di gestione in una prova con le finalità richiamate (personalmente, credo però le difficoltà non siano poi tante: ci sono “buone pratiche” della Scuola di Pubblica amministrazione al riguardo, ma anche dell’INVALSI e di alcune Università che potrebbero offrire sensate soluzioni), decisamente meno problematica appare una risposta positiva alla seconda domanda: ri-scorrendo anche solo velocemente i ben 5000 quesiti del precedente concorso, molto spesso si incorre in quesiti di lana caprina, lontanissimi in non pochi casi dalle problematiche legate alle funzioni del DS.
Perché non circoscrivere allora i quesiti ad ambiti tematici che sanno poco di accademia e di nozioni non significative e privilegiare dati, elementi, concetti, aspetti effettivamente sensati?
Il senso del ragionamento sotteso alle due domande è duplice:
• trasformare la preparazione iniziale attraverso i quiz (è inevitabile) nella possibilità di individuare meglio, attraverso le conoscenze che non possono essere tralasciate (quelle da accertare attraverso i quesiti) i filoni tematici “forti” del concorso, da riprendere e approfondire nelle fasi successive. Ovviamente questo non esclude un addestramento alla soluzione dei quesiti che personalmentenon ritengo scandaloso, se ancorato ad una preparazione generale esigente e di spessore;
• valorizzare non solo la capacità di memorizzazione, ma anhe altre capacità non meno importanti per un concorso come questo: mi riferisco soprattutto a quelle (ma non solo) di correlazione e associazione, di deduzione e ricostruzione mentale di concetti e dati per arrivare alla risposta esatta; capacità queste ultime che certamente si avvalgono della prima, ma che non sono riconducibili in toto ad essa.
Se poi quesiti meno nozionistici e campati in aria possano richiedere più tempo per la risposta, non credo rappresenti una questione dirimente. Non credo possa essere un problema portare i tempi della prova da un’ora ad un’ora e mezzo. Punto fermo è solo quello che i tempi della correzione e attribuzione del punteggio non subiscano dilatazione. Ma l’automaticità di queste operazioni esclude un rischio di questo tipo.
La “presunzione” che c’è dietro le proposte sopra prospettate – ovviamente da affinare e verificare – è che non solo così si privilegerebbe uno studio meno mnemonico, ma si getterebbe anche un ponte più solido tra le acquisizioni da maturare per la prova preselettiva e quelle necessarie per la prima formazione di una cultura dirigenziale – di cui si comincino a cogliere e approfondire specificità e differenze rispetto al “mestiere” di insegnante – da dimostrare in sede di prove scritte.
Sul secondo nodo (quale analisi dei casi), la memoria dell’ultimo concorso ci rimanda a procedure e situazioni che sono prova provata di una gestione complessiva dell’intera operazione concorsuale che, se riproposta anche in questo concorso, farebbe correre ulteriori seri rischi alla credibilità dell’amministrazione scolastica e alla conclamata volontà governativa di “cambiare verso”, anche sul fronte scolastico.
Annotavo a suo tempo, sulla base delle varie tracce proposte e di un confronto con “gente del mestiere”, che non era “ sempre facile capire il grado di coerenza tra tracce proposte e tipologia di prova indicata nel bando (nel senso che non sempre le tracce proponevano “casi” da risolvere)” e che l’impressione diffusa era che ogni commissione avesse letto il bando a modo suo, tali e tante erano le difformità rilevabili nelle tracce, sia nel metodo che nel merito della prova”. L’impressione diffura era che fossero in altri termini mancate linee guida e coordinamento generale a livello nazionale anche a proposito della stessa nozione di “caso”, oltre che di risultato previsto dalla prova. E questo, nonostante il buon lavoro svolto in quella circostanza dalla piattaforma INDIRE.
Sul terzo nodo infine, riguardante la costituzione e le competenze omogenee delle commissioni. Richiamo al riguardo solo il caso della Lombardia per economia di discorso e perché emblematico rispetto al ragionamento che qui si sta facendo
Per quanto il caso Lombardia costituisca un caso a sé (per diversi aspetti) e al di là di quello che è realmente accaduto nella gestione dei vari passaggi, gli elementi che qui si intendono mettere sotto osservazione sono le discrepanze clamorose, e soprattutto molto diffuse, nella valutazione degli stessi scritti, da parte della seconda commissione rispetto alla prima a cui era subentrata; si tratta in non pochi casi di differenze fino a 15 punti su 30!
Questa annotazione pone bene in evidenza un elemento di forte problematicità del nostro sistema, di cui tener conto nelle prossime mosse per il concorso: la debolezza diffusa della cultura valutativa anche all’intermo di professionisti della formazione di livello medio alto, quali non possono non essere i commissari nominati per le operazioni concorsuali.
Concludo con una considerazione di carattere generale che riguarda l’idea di ds che il tipo di prove dell’ultimo concorso ha messo in primo piano e che potrebbe essere utile adesso riconsiderare.
La recupero da una annotazione, ai margini delle prove scritte dell’ultimo concorso, riportata in un articolo del 2012 sulla visione della dirigenza.
Questo il passaggio che si ripropone: “Comunque (…. ) sembra venir fuori come prevalente – soprattutto nella seconda prova – l’immagine di un Ds le cui competenze sono generalmente volte a risolvere i molti e complessi problemi che quotidianamente gli si pongono. E, solo in pochi casi, a impostare e affrontare questioni di sviluppo, di promozione, di sperimentazione di nuove pratiche organizzative e didattiche, fondamentali per gestire con profitto le complessità del presente e del prossimo futuro. Anzi, mi sembra che, nelle 34 tracce, questi termini non siano mai stati usati. E neanche la parola ‘coordinamento’. La qual cosa, in un concorso per DS, fa pensare.” (1)
Ma qui il discorso si fa ancora più spesso. E lo si lascia a ragionamenti più raffinati.
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