È tempo di investire in educazione… e in responsabilità
È tempo di investire in educazione… e in responsabilità
di Rossella De Luca
Sintesi delle “Linee guida per la gestione in sicurezza di opportunità organizzate di socialità e gioco per bambini e adolescenti nella fase 2 dell’emergenza COVID-19”
La pubblicazione del DPCM del 18 ottobre 2020 ha portato una nuova regolamentazione ai vari settori che sono coinvolti in questo difficile momento del nostro Paese ma, presi dai problemi dell’oggi, sembra che non si stia prestando altrettanta attenzione ai problemi di domani.
E’ passato, pertanto, quasi sotto silenzio (per lo meno non mi è ancora capitato sentirne parlare dai telegiornali o leggere articoli su quotidiani, nemmeno specializzati) l’allegato A del DPCM, “Linee guida per la gestione in sicurezza di opportunità organizzate di socialità e gioco per bambini e adolescenti nella fase 2 dell’emergenza COVID-19”, elaborato dal Dipartimento per le politiche della famiglia.
In questo documento, che certo non è specifico per la scuola, si sottolinea come i provvedimenti restrittivi degli ultimi mesi siano stati giustificati dall’esigenza di garantire condizioni di sicurezza e salute per la popolazione, ma ovviamente essi hanno inciso molto sul benessere dei bambini e degli adolescenti, che avrebbero ugualmente diritto all’incontro tra pari, al gioco, all’educazione. La sospensione delle attività educative e scolastiche in presenza, nel periodo marzo-giugno (ma si prevede anche per brevi periodi di mini-lockdown), ha indubitabilmente limitato drasticamente la possibilità di svolgere esperienze al di fuori del contesto familiare per i bambini e per gli adolescenti e questo limite ha colpito in particolare le fasce più deboli e disagiate, quelle che proprio al di fuori del contesto familiare trovavano stimoli e spinte al miglioramento.
La scuola in presenza è un asset fondamentale del Paese e a maggior ragione lo è la scuola dell’infanzia e primaria: sin dagli inizi degli anni ’60 molte ricerche hanno iniziato ad occuparsi dei bambini, analizzando in particolare i meccanismi di socializzazione fin dai primissimi anni di vita e l’importanza di tali funzioni per l’acquisizione della consapevolezza di sé, nonché dei prerequisiti sociali per arrivare in seguito all’interazione con l’altro.
Tale tesi fu poi offuscata dalle teorie di Piaget e dal prevalere del paradigma cognitivista, approccio secondo il quale l’interazione del bambino con gli altri e con l’ambiente che lo circonda è di fondamentale importanza per il suo sviluppo sociale e cognitivo: il contesto familiare, i mass media, la scuola e il gruppo dei pari diventano agenti di socializzazione decisivi, che accompagneranno il percorso evolutivo del bambino per tutta la vita: la socializzazione rappresenta “un processo lento e inarrestabile che porta ciascun individuo a far parte di una determinata società perché da essa ed in essa apprenderà e userà le norme, i comportamenti, i ruoli e le istituzioni di cui la stessa società si compone”.
E’ anche in questa fase che si scatenano le prime tensioni emotive, quali paura, confusione, curiosità, momenti che vengono stimolati e compresi soprattutto nelle fase del gioco: la scuola, dunque, riveste nella società contemporanea una posizione centrale nel sistema educativo e sociale. L’esperienza della socializzazione determinerà il rapporto che il bambino, crescendo, manifesterà poi nei confronti del mondo, dal momento che i bambini elaborano concetti sociali, soprattutto di se stessi (uno degli aspetti del sé è la consapevolezza della propria esistenza, l’altro è l’autostima, ossia la percezione che i bambini hanno del proprio valore) e delle persone con le quali interagiscono, per dare un significato alle loro esperienze in situazioni interpersonali: tutte queste componenti, come è facile comprendere, sono largamente influenzate dalle esperienze sociali dei bambini.
La socializzazione con i coetanei prevede un piano di maggiore parità e consente di sperimentare anche altre abilità: gli amici devono essere conquistati, con loro si litiga, ma si impara anche a “far pace”, bisogna impegnarsi per conservare le amicizie, si sviluppano gelosie e rivalità, ma anche solidarietà e comprensione reciproca: il gioco consente poi al bambino di comprendere la realtà a lui esterna (mondo dal quale è e si sente ancora escluso) e anche un buon adattamento, dando al bambino la possibilità di conoscere, interpretare, esprimere ma anche controllare il proprio mondo interno, sostanziato di desideri, pulsioni, istinti, creando una “mediazione” tra le due realtà. Tale processo di socializzazione assume caratteri diversi anche in base alle classi sociali ed è per questo che in contesti deprivati assume tanto più maggiore rilevanza.
Tornando alle “Linee guida per la gestione in sicurezza di opportunità organizzate di socialità e gioco per bambini e adolescenti nella fase 2 dell’emergenza COVID-19”, esse hanno il dichiarato obiettivo di “individuare orientamenti e proposte per realizzare, nell’attuale fase 2 dell’emergenza COVID-19, opportunità organizzate di socialità e gioco per bambini e adolescenti, contenendo il rischio di contagio epidemiologico” attraverso il perseguimento di un atteggiamento che ricerchi “il giusto bilanciamento tra il diritto alla socialità, al gioco e in generale all’educazione dei bambini e degli adolescenti e, d’altra parte, la necessità di garantire condizioni di tutela della loro salute, nonché di quella delle famiglie e del personale educativo e ausiliario impegnato nello svolgimento delle diverse iniziative”, ma soprattutto con la finalità di garantire l’equilibrio psicologico e fisico di una fascia di età cui è necessario prestare particolare attenzione.
Date per scontate la necessaria attenzione alla definizione delle procedure e l’esigenza di definire indicazioni chiare circa i protocolli da adottare durante le attività, per garantire appropriate condizioni igieniche ai locali, il documento cerca di definire le condizioni che consentano di offrire opportunità di esercizio del diritto alla socialità e al gioco in condizioni di sicurezza, o almeno nel maggior grado di sicurezza possibile, date le circostanze. Il rischio zero, insomma, non esiste, ma certo tramite protocolli di sicurezza adeguati e l’attenzione agli aspetti igienici e di pulizia si possono ridurre i rischi, con il fine di puntare “alla qualità della relazione interpersonale, mediante il rapporto individuale fra l’adulto e il bambino, nel caso di bambini di età inferiore ai 3 anni, e mediante l’organizzazione delle attività in piccoli gruppi nel caso di bambini più grandi e degli adolescenti, evitando contatti tra gruppi diversi”, curando altresì l’organizzazione degli spazi più idonei e sicuri, privilegiando quelli esterni (outdoor education) e le attività di piccoli gruppi.
Nel regolamentare l’accesso ai parchi, ai giardini pubblici e alle aree gioco, le linee guida fissano le condizioni che devono essere adottate dai gestori e le responsabilità degli accompagnatori, nonché gli standard per il rapporto numerico fra gli operatori, educatori e animatori e i bambini e gli adolescenti, e le strategie generali per il distanziamento fisico e per l’utilizzo dei DPI.
Le regole possono sinteticamente essere espresse con queste poche semplici indicazioni:
1) Prevedere una segnaletica e messaggi educativi per la prevenzione del contagio;
2) Sensibilizzare al corretto utilizzo delle mascherine;
3) Garantire la sicurezza del pernottamento e dei pasti (ovviamente qualora previsti);
4) Pulire e igienizzare gli ambienti;
5) Prevedere scorte adeguate di mascherine di tipo chirurgico, sapone, gel idroalcolico per le mani, salviette asciugamani in carta monouso, salviette disinfettanti e cestini per i rifiuti provvisti di pedale o comunque che non prevedano contatto con le mani.
Ovviamente per far sì che tutto proceda secondo quanto stabilito, tutto il personale, anche quello volontario, deve essere informato e formato sui temi della prevenzione di COVID-19, nonché per gli aspetti di utilizzo dei DPI e delle misure di igiene e pulizia. Le linee guida consigliano infine di prestare particolare attenzione alle condizioni di fragilità fra i bambini, gli adolescenti, gli operatori, gli educatori e gli animatori che potrebbero necessitare di specifico supporto psicologico e prevedono tre protocolli di accoglienza:
- per la prima accoglienza, da applicare il primo giorno di inizio delle attività, chi esercita la responsabilità genitoriale deve autocertificare che il bambino o adolescente: a) non ha avuto una temperatura corporea superiore ai 37,5°C o alcuna sintomatologia respiratoria, anche nei 3 giorni precedenti; b) non è stato in quarantena o isolamento domiciliare negli ultimi 14 giorni; c) non è stato a contatto con una persona positiva COVID-19 o con una persona con temperatura corporea superiore ai 37,5°C o con sintomatologia respiratoria, per quanto di propria conoscenza, negli ultimi 14 giorni;
- per l’accoglienza giornaliera, per i giorni successivi e che prevedono l’ingresso nell’area dedicata alle attività, per accedere alle attività, il bambino o l’adolescente: a) non deve aver avuto, nel periodo di assenza dalle attività, una temperatura corporea superiore ai 37,5°C o alcuna sintomatologia respiratoria; b) non deve essere stato a contatto, nel periodo di assenza dalle attività, con una persona positiva COVID-19 o con una persona con temperatura corporea superiore ai 37,5°C o con sintomatologia respiratoria, per quanto di propria conoscenza.
- per le verifiche giornaliere, nel caso di pernotto e frequenza delle attività per più di 24 ore.
Regole semplici, protocolli tutto sommato già applicati nelle nostre scuole di ogni ordine e grado dal 1 settembre 2020. La domanda allora nasce spontanea…
Postillando e chiosando un carissimo collega, Gregorio Iannaccone, facciamola allora “continuare così questa nuova storia, una delle infinite storie di questa inaspettata, feroce pandemia, che ha colpito l’economia, la salute, la vita, il cuore di tutti noi… Non è tempo di polemiche nell’ora oscura che incombe, occorre rispetto, fiducia, senso civico, solidarietà. Occorre la scuola! Quella istituzione più diffusa in Italia e nel mondo, più delle caserme della Benemerita, che pure coi tagli, le razionalizzazioni, i dimensionamenti riesce ad includere tutti i ragazzi, proprio tutti… La scuola, e qui ci metto veramente tutti, collaboratori scolastici e impiegati compresi, ha saputo organizzarsi anche da sola, è stata capace come ad altre istituzioni non è successo, di far rispettare le regole, di utilizzare anche fantasiosamente tutto quel che aveva, per trovare soluzioni idonee, ragionevoli. E di riorganizzarsi diventando ambiente deputato all’innovazione didattica e digitale, senza mai rinunciare alla sua vocazione di luogo di cultura e cittadinanza, non solo di insegnamento e di apprendimento, per ricostruire la comunità, oggi più necessaria che mai in tempi di indisponibilità e di difficoltà. Chiudere, interrompere le attività didattiche può provocare una sensazione di sollievo in prima istanza, ma per proteggere la scuola non si deve svuotarla, ma responsabilizzare il mondo che è fuori e insegnare a tutti a prendere sul serio ogni regola. La scuola chiusa non è il buon esempio: si imbavaglia l’unica verità viva del nostro Paese”.