Ubuntu: la partita dell’integrazione si apre a scuola
Ubuntu: la partita dell’integrazione si apre a scuola
di Rossella De Luca
Nella filosofia e nella cultura dell’Africa sub-Sahariana è presente un concetto che si definisce UBUNTU: è uno dei concetti fondanti del movimento di rinascita che vuol far fiorire il continente africano pur tra le tante difficoltà, è la credenza in un legame di condivisione che unisce tutta l’umanità. Il termine deriva dalla voce “bantu”, traducibile letteralmente con “umanità”, che è composta dalla radice -ntu (umano) e dal prefisso dei nomi astratti, ubu-.
Come ogni concetto che nasce in una cultura tanto diversa e lontana dalla nostra, la traduzione non è così semplice e immediata: letteralmente si potrebbe tradurre con “umanità”, ma in pratica il significato è estremamente più articolato e complesso. Si può sintetizzare l’ubuntu come la credenza filosofica in un legame che congiunge tutta l’umanità: ciò che noi siamo è frutto della vita e dell’esistenza di un’infinità di altre persone, ciascuno è “un ologramma della società intera”. UBUNTU significherebbe, dunque, “io sono poiché noi siamo”.
Bisognerebbe spiegare questi concetti a scuola. Mai come oggi, di fronte a un virus che ha dimostrato come aspetti e atteggiamenti individuali e sociali si leghino in un indissolubile unicum, di fronte a uno spropositato squilibrio tra chi ha e chi non ha, di fronte alla povertà e soprattutto alle guerre e alle devastazioni le cui immagini sconvolgono il cuore e gli occhi di ciascuno di noi, in un momento in cui non ci sono quote o visti di ingresso e permessi di soggiorno o politiche di rimpatrio che tengano, di fronte alle immagini che quotidianamente vediamo in tv o alle notizie che leggiamo in rete o sui giornali, è evidente come sia fondamentale il ruolo della scuola, per riaffermare il dovere e l’importanza della responsabilità, dell’accoglienza, nella consapevolezza del legame di condivisione che unisce tutta l’umanità.
La nostra civiltà nasce da Enea, che era un profugo, approdato sulle sponde del Lazio dopo essere fuggito a seguito di una decennale guerra dalla lontana Troia ormai in fiamme.
La scuola, in quanto luogo del dibattito argomentato, del rispetto delle regole, della presa di coscienza delle procedure del pensiero, dell’ascolto e del rispetto, assume dunque anche in quest’ambito un ruolo fondamentale. Essa, infatti, è l’istituzione che ha un ruolo centrale per la costruzione e la condivisione di regole comuni, in quanto può agire attivando una pratica di vita quotidiana che si richiami al rispetto delle forme democratiche di convivenza e, soprattutto, deve trasmettere le conoscenze storiche, giuridiche, socio-economiche che sono saperi indispensabili nella costruzione di un’idea di cittadinanza attiva e democratica.
Affinché si realizzi realmente una compiuta integrazione, la scuola deve costantemente proporre una cultura dell’incontro, in un sistema formativo integrato in cui la collaborazione con il territorio e le famiglie possa condurre a modalità di azione comune, che consentano di superare atteggiamenti di paura, sospetto o rifiuto, nella consapevolezza che ogni cultura contiene in sé un capitale di idee e di valori e, come afferma la scrittrice francese Julia Kristeva, “guardare se stessi e la propria cultura con lo sguardo dell’altro è un’esperienza che aiuta a costruire la propria identità, arricchendola di punti di vista, memoria, pensieri”.
La scuola deve essere in grado di promuovere l’idea di “una diversità che si iscriva in una unità”, come sostiene anche E. Morin, insegnare la “condizione umana” e “l’identità terrestre”, rendere consapevoli che le assimilazioni da una cultura all’altra non rappresentano una perdita, ma un insostituibile arricchimento: come si deve proteggere la diversità delle specie per salvaguardare la biosfera, così si deve proteggere la diversità delle idee e delle opinioni, ma anche delle culture, per salvaguardare la democrazia.
In questo particolare momento la scuola sembra avere un più grande problema, il COVID, che forse però sintetizza nella forma più plastica possibile l’immagine “io sono perché noi siamo”, l’idea che noi siamo il frutto della vita e dell’esistenza di un’infinità di altre persone, ma proprio per questo non bisogna mai dimenticare che la scuola è luogo di opportunità e occasioni per favorire lo scambio in una dimensione emozionale di incontro con l’altro, di interazione tra diverse generazioni, di promozione della tolleranza, deve insegnare a valorizzare le specificità culturali in una prospettiva di dialogo e di accoglienza, ma soprattutto in un’ottica mondiale, nel tentativo di rispondere alle esigenze di una società in cui salute, economia e comunicazione si sono globalizzate, ma la politica e l’educazione continuano purtroppo spesso a ragionare in termini di confini e di frontiere.