Il vaccino della democrazia
Il vaccino della democrazia
di Rossella De Luca
Questa breve riflessione è stata originata dalla lettura, casualmente sincrona, di due testi tra loro molto diversi: un articolo, pubblicato recentemente sul quotidiano La Repubblica, dal titolo “Vaccino, la risposta biotech dell’Occidente”, a firma del direttore Maurizio Molinari, e un noto saggio risalente a qualche anno fa di Martha Nussbaum, intitolato “Non per profitto: perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica”.
La collocazione di questa riflessione su un blog che si occupa principalmente di scuola spero renda maggiormente evidente il senso dell’accostamento: la scienza e la tecnologia hanno rivoluzionato il mondo (e il modo) in cui viviamo.
Partiamo dall’articolo. Molinari illustra la struttura del vaccino, costruito sulla base della rivoluzionaria piattaforma mRNA (RNA messaggero), attraverso la quale è possibile inviare istruzioni alle cellule per generare i necessari anticorpi: in sostanza, dopo la somministrazione, le cellule dell’organismo producono la proteina del virus, che a sua volta produce anticorpi che annientano il virus stesso quando si manifesta.
Un approccio completamente inedito, dunque, un prodotto di biotecnologia, un vaccino del tutto diverso dai vaccini del passato, che inoculavano dosi minime del virus stesso per generare anticorpi.
Tale svolta è stata resa possibile da alcune aziende come BioNTech, nata in Germania nel 2008 (che a sua volta ha realizzato un’intesa con il colosso farmaceutico americano Pfizer), e Moderna, fondata in Massachussetts nel 2010, anch’essa sostenuta dagli investimenti pubblici di alcuni istituti statunitensi che si occupano di ricerca nel campo delle biotecnologie. Queste alleanze hanno consentito di ottenere le necessarie autorizzazioni, di realizzare gli esperimenti clinici abbattendo i tempi per testare le diverse fasi, ma soprattutto di garantire la produzione di massa e la distribuzione globale del vaccino.
Pur nella consapevolezza dei grandi interessi economici che alitano dietro operazioni di questo tipo, è innegabile che la produzione di un vaccino con una copertura molto ampia a tempo di record dimostra la capacità delle biotecnologie di affrontare le sfide del XXI secolo e soprattutto di dare risposte rapide e sicure a emergenze globali.
Ma questo successo non nasce dal nulla: nasce da investimenti e sperimentazioni che, per quanto riguarda i vaccini RNA, hanno alle spalle almeno 15 anni di ricerche, mirate anche alla lotta contro i tumori: soltanto cinque anni fa, tanto per dire, non avremmo avuto a disposizione la tecnologia che è stata utilizzata per il vaccino ANTICOVID.
In tale contesto la Russia (con il suo Sputnik V) e la Cina (con Sinopharm), che pure avevano provato a dimostrare la loro competitività nel dare risposta all’emergenza, non sembrano essere riuscite a ottenere rilevanti risultati, per lo meno in assenza di pubblicazione dei relativi dati.
Quali i motivi? Uno di questi sembra essere ascrivibile al fatto che le biotecnologie sono generate da modelli di ricerca caratteristici delle democrazie avanzate, connotati da una miriade di aziende e società in competizione, modello che contrasta con quello di una ricerca pubblica, di Stato.
Questo aspetto funge da anello di congiunzione con il secondo testo, ovvero il saggio della Nussbaum: se la professoressa americana sosteneva che “scuola” ed “educazione” sono due sostantivi singolari che ricoprono un insieme intrinsecamente plurale, a questi due aggiungerei oggi un terzo sostantivo, ovvero “salute”.
Il saggio “Non per profitto: perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica” sottolinea ripetutamente l’importanza di saperi, apparentemente “non utili”, che sono indispensabili a mantenere viva la democrazia e pone in evidenza ripetutamente, attraverso un’ampia documentazione esemplificativa, che l’unico indicatore del successo di una nazione non può essere il PIL, perché libertà politica, salute e istruzione sono tutti elementi scarsamente correlati alla crescita.
L’innovazione postula intelligenze flessibili, aperte, creative, libere: ne emerge, con tutta evidenza, la rilevanza del ruolo della formazione umanistica per la formazione di una idea di cittadinanza democratica e soprattutto la rilevanza della scuola, che tra l’altro deve educare alla capacità di confrontarsi con le inadeguatezze e le fragilità umane, di ragionare, discutere e riflettere sui problemi politici, emancipandosi dalla tradizione e dall’autorità, e soprattutto alla capacità di vedere la propria nazione come parte di un complesso ordine mondiale.
Distratti dall’obiettivo del benessere, chiediamo sempre più spesso alle nostre scuole di insegnare saperi “utili” a diventare uomini di affari più che cittadini consapevoli e responsabili, insistendo in maniera proporzionale sempre meno sul valore fondamentale di lettere e arti. Ma le democrazie hanno bisogno di grandi risorse di intelligenza, di immaginazione e di condivisione. Non dimentichiamolo!