Antropologia del Digitale: le risposte della scuola di fronte all’ennesima sfida epocale
Antropologia del Digitale: le risposte della scuola di fronte all’ennesima sfida epocale
di Domenico Ciccone
Inizio questo intervento con una domanda che è anche una vera e propria provocazione:
i nativi digitali hanno davvero una marcia “ digitale” in più, rispetto alle generazioni precedenti?
Nell’ambito delle tecnologie digitali, infatti, il confronto generazionale è stato caratterizzato intensamente dal concetto di «nativo digitale», in una sorta di scontata contrapposizione – tra le nuove generazioni, implicitamente esperte di tecnologie digitali e di relativo utilizzo ottimale – e quelle precedenti, che sono state definite «immigrati digitali» ritenute inesperte, impacciate e poco propense all’uso delle tecnologie. Queste tesi si sono dimostrate perfino fantasiose alla luce di recenti studi come l’indagine ICILS [1] che quantomeno le mettono in discussione in un dibattito che è ancora vivacemente aperto.
Il rapporto tra giovani e tecnologie va approfondito, per cercare di comprendere quali caratteristiche del sistema educativo favoriscono lo sviluppo di competenze digitali; capire se esiste una relazione tra età di inizio dell’uso delle tecnologie, frequenza d’uso e tipologia d’uso e le competenze digitali nei diversi ambiti, estendendo la riflessione al ruolo della scuola e delle politiche educative nell’uso dei dispositivi digitali e di internet da parte degli allievi.
Peraltro, il dato non trascurabile è che, in quest’epoca storica, l’impatto delle tecnologie e degli strumenti digitali, sulla vita di ogni giorno, ha dato luogo alla nascita di una nuova affascinante materia di approfondimento sociale e scientifico, per offrire, a tutti noi, chiavi di lettura utili a comprendere il mondo che ci circonda e le relazioni che instauriamo dopo l’avvento pervasivo e assorbente delle nuove tecnologie. L’Antropologia digitale, infatti, studia i comportamenti dell’uomo che vive nei territori digitali e che usa strumenti tecnologici e connessi tra loro per comunicare con gli altri.
La connessione umana non può mai esistere al di fuori di un contesto culturale e materiale, o di una cornice; quella digitale, sicuramente, porta con sé le implicazioni morali e politiche che di solito sono state frutto, varie volte nel tempo storico, dei nostri artefatti scientifici e tecnologici.
Una nuova nozione molto complessa: i territori digitali
Come anticipato, la nozione di territorio digitale è complessa; volendo ricondurla brevemente ad alcuni concetti, essa rimanda a :
- La digitalizzazione crescente dei territori fisici, nella pratica concreta e quotidiana.Pensiamo a quante innovazioni hanno caratterizzato il nostro agire quotidiano nei diversi contesti di vita. Quando entriamo in un locale cerchiamo quello che ci interessa e, subito dopo, ci connettiamo alla rete WI-FI, fotografiamo un codice OR , cerchiamo contenuti digitali, spesso ancora prima di dialogare con le persone.
- L’apertura di campi del sapere connessa alla concettualizzazione dei nuovi ambienti digitali (territori ‘born digital’) e alla loro relazione con lo sviluppo delle AI (Intelligenza Artificiale). Negli ultimi anni le informazioni digitali di tutto il mondo sono più che raddoppiate e questa tendenza è destinata ad aumentare, con un fenomeno esponenziale che genera straordinarie quantità di dati elettronici: i Big Data. Il termine Big Data è stato originariamente coniato dagli scienziati della NASA nel 1997 in seguito alla difficoltà di visualizzare e memorizzare un set dati troppo grande, limitandone di conseguenza l’analisi. I Big Data sono caratterizzati dalle 4 ‘V’: Volume (grandi quantità), Velocità (vengono continuamente riversati nella rete), Varietà (sono file di tutti i tipi: testi, immagini, video, audio, etc.), Veridicità (le fonti non sono sempre verificabili , quindi prendere decisioni basandosi sui Big Data in modo acritico può essere pericoloso).[2] Fin dal 2020 l’universo digitale contiene tanti bit quante sono le stelle dell’Universo e la tendenza ad aumentare negli ultimi due anni è vicina al raddoppio.
- Le sfere pubbliche digitali come nuovo spazio di interazione sociale e politica e come flusso di big data. Queste nuove sfere e nuovi discorsi pubblici sono caratterizzati dall’emergere e dalle trasformazioni dei modi di espressione e comunicazione. Anche l’avvio e lo svolgersi del dibattito e della produzione di significato attraverso le piattaforme online (YouTube, Instagram, Twitter, Facebook, ecc.) e le modalità multidimensionali di circolazione tra le varie piattaforme, sono emblematici di un allargamento incontenibile delle sfere digitali. I telefoni cellulari consentono la realizzazione, la manipolazione, l’editing, la pubblicazione di foto e video in movimento. La possibilità di condividere istantaneamente le immagini, commentarle, utilizzare complessi sistemi di ordinazione o raccolta aggiungendo qualsiasi commento si voglia: musicale, scritto oppure realizzato con simboli grafici, come le emoticons o i graffiti, fanno sì che le nuove forme, visive e testuali di (auto) espressione e partecipazione, influenzino non solo il panorama politico in quanto tale, ma anche lo sviluppo delle soggettività politiche e civiche.
Nuova nozione di cittadinanza
A questo proposito, la nuova nozione di cittadinanza che ne deriva, viene spesso discussa in relazione ai giovani e, in particolare, alla questione di come la società civile possa “generare” cittadini, assicurando che apprendano l’etica e le competenze richieste per la partecipazione civica e politica. [3]
Ormai non è più necessario dare un’occhiata in giro per rendersi conto di come lo smartphone, un artefatto umano, abbia influenzato in modo significativo il modo in cui comunichiamo ed il modo in cui ci poniamo socialmente e culturalmente.[4]
Domande che nascono spontanee
Proprio in quanto l’Antropologia del digitale invade tutte le sfere dell’agire umano è lecito chiedersi il perchè di alcuni fenomeni come, ad esempio, quello che determina, nei social e nel gaming, l’attrazione fino alla dipendenza?
Quale significato assume nella storia dell’umanità l’idea che siano i giovani ad insegnare ai «vecchi»?
Forse hanno ragione quelli che ipotizzano la teoria che Il nostro cervello si avvia ad una nuova evoluzione dettata dal digitale?
La risposta nell’evoluzione da Homo Sapiens a Homo Sapiens Digitalis?
La tecnologia ci fa vivere in un continuo presente (Il tempo è solo presente: The Big Now!), «un qui e ora» fatto di tempo reale che ha cancellato il passato e reso superfluo il futuro, annullato la storia e la consapevolezza di ciò che ci circonda? Questa domanda ha una risposta ovvia, poiché l’approccio educativo, quello che qui ci interessa commentare, si basa fondamentalmente su due specifiche dimensioni, ben descritte da J. Bruner e condivise da molta parte della comunità scientifica: la narrazione e il pensiero propositivo o paradigmatico, quello conosciuto anche come pensiero logico-scientifico.
Nella storia evolutiva dell’uomo, il narrare ha risposto e continua a rispondere a una necessità profonda, addirittura primordiale. La narrazione si presenta come un concetto trasversale all’oralità (tipica dei popoli primitivi) e alla scrittura (tipica delle società più evolute). Sia le “civiltà illitterate” sia le “civiltà alfabetiche” hanno utilizzato la narrazione, pur avendo forme comunicative diverse.
L’altro modo, con cui gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, è il pensiero propositivo o paradigmatico, quello logico-scientifico.[5] Ad esso rimandano forme convenzionali di narrazione che sono caratterizzate dall’uso di codici particolari e settoriali.
In questa epoca della Storia dell’umanità, il digitale appare come un campo minato che aggiunge, al già rischioso attraversamento, l’ulteriore incognita dell’Intelligenza artificiale, vista da alcuni come una pericolosa direzione di sviluppo del progresso, tesa ad annullare la volontà e l’arbitrio umano.
Questo nuovo modello di relazione con la conoscenza, probabilmente, denota il passaggio da Homo Sapiens e Homo Sapiens Digitalis. Il primo si chiama così perché ha iniziato a produrre artefatti sviluppando le relative tecniche e tecnologie, secondo le esigenze e i bisogni che lo interessavano: il secondo si caratterizza per una nuova classe di artefatti contraddistinti dal linguaggio digitale con le sue numerose confluenze tecnologiche, che non sono nati per la sopravvivenza o non sono il risultato della lotta per sopravvivere ma hanno generato nuovi bisogni e nuove esigenze che derivano da comportamenti prevalentemente indotte.
L’Intelligenza Artificiale: la nuova frontiera del digitale
L’intelligenza artificiale realizza sistemi informatici che possono eseguire attività normalmente svolte dall’intelligenza umana. La percezione visiva, il riconoscimento del linguaggio, la capacità di prendere delle decisioni e il tradurre da una lingua all’altra sono funzioni di certa complessità che non erano, fino a pochi anni fa, riconosciute alle macchine digitali. Con l’Intelligenza Artificiale è in atto una rivoluzione culturale, tecnologica e scientifica centrata sull’applicazione dell’apprendimento automatico a database di grandissime dimensioni. Intelligenza Artificiale, visione artificiale e sistemi di apprendimento automatico stanno dimostrando che oggi le macchine analizzano grandi quantità di dati più velocemente e meglio degli esseri umani. Il nuovo paradigma di una scienza che “simula il ragionamento umano” ha instillato dubbi sul fatto che questo fenomeno sia rimanga sotto il controllo degli esseri umani.
Tuttavia, i confini tra il digitale ed il reale sembrano quasi dissolti ma in realtà non lo sono. Questa distorsione appare soltanto alle persone che non hanno un dominio delle tecnologie, quanto mai necessario in questa epoca storica ed in questa realtà tecnologica. I confini tra il reale ed il virtuale, peraltro, sembrano quasi cancellati dalla vita sui social, che appare erroneamente alternativa alla vita sociale vissuta di persona anche se, in realtà, è parallela ad essa.
IoT – Internet delle cose.
Uno dei cambiamenti proviene dalla novità, che ognuno deve affrontare, per il mutamento dei modelli sociali e da Internet delle cose (IOT) . Le relazioni e i modelli sociali saranno sempre più condizionati dalle novità provenienti dallo sviluppo di Internet delle cose. Con Internet of Things (IoT) ci si riferisce al processo di connessione a Internet di oggetti fisici di utilizzo quotidiano, dagli oggetti più familiari usati in casa, come le lampadine o la TV, alle applicazioni di carattere sanitario come i dispositivi medici, ai dispositivi smart, a quelli indossabili ed alle smart home.
Queste novità importanti producono, come conseguenza, lo sviluppo di modelli e processi fondati sui dati e non sulle competenze delle singole persone al comando, che «azzardano» ipotesi di soluzione sulla base di esperienza e sensibilità nell’interpretazione dei contesti.
Da questo deriva l’assunto che i dati raccolti sono un patrimonio inestimabile che aiuta a programmare macchine e apparati per ridurre errori, sprechi, problemi.
Di conseguenza, le persone di successo, che possono competere con il cambiamento, apparentemente destinato ad essere dominato dall’intelligenza Artificiale, sono quelle capaci di fungere da interfaccia tra dati e macchine mettendo a disposizione esperienze, conoscenze e competenze complesse.
Pensare ad una scuola che persegue i suoi scopi istituzionali senza tener conto della portata epocale di queste trasformazioni è un comportamento paragonabile al voler nascondere la testa sotto il tappeto.
Scuola innovativa, con il tablet in mano.
L’innovazione della scuola e delle sue metodologie è un’indispensabile declinazione delle enormi dimensioni del cambiamento che, in molti casi, continua ad essere ignorata o avversata con sterili contrapposizioni tra cultura classica e cultura tecnologica. Queste posizioni dimenticano che le cosiddette “culture”, non sono dei compartimenti stagni ma costituiscono il risultato di un’evoluzione chiara e definita dell’umanità, nella quale non si possono e non si devono trovare antitesi a tutti i costi.
Senza voler schematizzare, entrando in particolari non analizzabili in questa sede, possono essere individuati dei principi per realizzare un’innovazione pervasiva della didattica attraverso metodologie attive che garantiscano:
- l’uso responsabile delle risorse digitali come premessa metodologica che rifugga la tendenza diffusa di rilevare una contraddizione tra le tecnologie e la scuola con le sue “tradizionali “ attività.
- L’edificazione della didattica e della cittadinanza digitale fondate sullo stesso paradigma, non solo in relazione alla necessità del fare scuola ma nella prospettiva che preveda, detta cittadinanza digitale, come una dimensione irrinunciabile di ogni cittadino, già a partire da subito.
- La valorizzazione delle competenze digitali ponendole sullo stesso livello di importanza delle altre competenze. Questa dimensione non ha bisogno di commenti, alla luce delle considerazioni contenute nella Raccomandazione europea del 2006 come ribadite nel documento europeo sulle competenze chiave del 22 maggio 2018.
- La centratura sullo studente delle attività di apprendimento poiché il modello di progettazione per Unità di Apprendimento (UdA) è una necessità ineluttabile che soddisfa l’esigenza di partecipazione degli studenti alle attività di insegnamento/apprendimento e la necessità di modellazione, sul compito e sui processi che lo generano, delle attività che la scuola pone in essere.
- La valutazione per l’apprendimento e la valutazione come apprendimento quali irrinunciabili modelli che, spostando il baricentro sui processi che hanno determinato i risultati, richiedono la partecipazione dello studente alla propria valutazione, in maniera tale che essa diventi ulteriore occasione di apprendimento e di meta – cognizione.
Il Mondo che verrà
Il Mondo che verrà sarà dominato dal cambiamento e saranno quindi vincenti la capacità di cambiare, la disponibilità a trasformare più volte i propri modelli e i propri schemi, la competenza personale indotta alla versatilità ed alla flessibilità. Il Framework “ Learning to become” dell’ UNESCO lo ricorda e auspica che la sua realizzazione avvenga, con il ruolo centrale e irrinunciabile della scuola, entro l’anno 2050, non senza sottolinearne la complessità anche con la presenza di un termine tanto lungo.
Le zone franche a scuola, una soluzione praticabile.
Peraltro, Roberto Maragliano, proprio alla luce di una complessità crescente che non accenna a fermarsi, propone una soluzione sensata e realizzabile di sblocco dell’impasse, “legata alla possibilità, che andrà elaborata culturalmente e tecnicamente e politicamente, di costruire dentro le scuole, delle ‘zone franche’ dove adulti e giovani, al di là dei ruoli fissati e differenziati fra chi insegna e apprende, possano incontrarsi e collaborare liberamente, senza dover subire la cappa dell’articolazione oraria, della pertinenza disciplinare, della valutazione che incombe, del ‘cosa portare all’esame’, e godano delle infinite risorse che il digitale offre a chi sia disponibile a mettersi in gioco e giocare”.
La rivoluzione digitale non era nelle corde dei poeti del ‘900; neppure potevano immaginarla e, fortunatamente, non hanno provato a farlo. A noi, nemmeno, compete provare ad ipotizzare quale sarà il futuro per giudicarlo fin d’ora in maniera oscurantista. Dobbiamo educare al cambiamento senza tentare inutilmente di conoscere e scrutare l’impossibile, con la supponenza di chi crede di poter governare il futuro col passato e con le sue categorie.
La sensibilità di poeta, peraltro scomparso quasi cento anni fa, convinto in misura ancora maggiore dell’imperscrutabilità del futuro, fece scrivere a Kahlil Gibran, parlando dei figli e rivolgendosi ai genitori:
“Perché le loro anime abitano la casa del domani,
che voi non potete visitare, neppure nei vostri sogni.”
[1] L’indagine ICILS (International Computer and Information Literacy Study) svolta in contesti territoriali definiti, intende
- effettuare dei confronti tra i paesi riguardo le competenze raggiunte dagli allievi;
- verificare come gli aspetti istituzionali, infrastrutturali o relazionali in campo di educazione, contribuiscano allo sviluppo delle conoscenze informatiche;
- di individuare quali, tra le conoscenze informatiche in possesso degli allievi, derivano da insegnamenti scolastici e quali altre, invece, sono state acquisite altrove;
- individuare possibili legami tra il livello di competenza raggiunto dagli allievi e determinati fattori contestuali.
[2] JAMD | www.jamd.it | ISSN 2532-4799 (online) vol. 21-3 oct. 2018
[3] 21 luglio 2021 Marco Guastavigna “Sfera pubblica digitale” – Contenuto on-line
[4] Achille De Tomaso “ Antropologia Digitale: Tecnologia e Connessioni Umane”
[5] J. Bruner “La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola” – Milano – 2000.