Riflessioni di fine giugno
Riflessioni di fine giugno
di Domenico Ciccone
L’Esame di Stato, conclusivo del secondo ciclo di istruzione, come una partita della nazionale di calcio, mobilita gli italiani tre giorni all’anno. Le giornate si caratterizzano per una corale e popolare fischiettata o canticchiata ( a seconda delle abilità) della canzone di Venditti sulla notte prima degli esami, che ormai ricade quasi sempre tra il martedì e il mercoledì della penultima settimana di giugno; segue un morboso interesse per le tracce del compito di italiano da parte di un popolo, solitamente dormiente, che due giorni all’anno diventa esperto di critica letteraria. Poche ore dopo, non appena uscite le tracce e strombazzate da ogni sorta di mezzo comunicativo, compresi esperti, giornalisti e testimonial del caso, l’interesse via via decrescente, si esaurisce per cadere completamente la mattina del venerdì quando anche le notizie più scandalose scemano in una sorta di resa collettiva alla scuola che non è più quella di una volta.
L’amico Stefano Stefanel ha notato con la solita sagacia, un’insistenza non più trascurabile, in sede di esame di Stato, su modelli di valutazione e modalità di verifica che appaiono legati in misura maggiore alla casualità ed alla eventualità anziché alla pianificazione ed alla realizzazione di attività propedeutiche e strutturanti, durante gli anni scolastici precedenti l’esame. L’autore utilizza una consona (per lui, atleta di lungo corso) metafora sportiva per la quale gli studenti sono come una squadra che si allena per tutta la settimana giocando a basket e alla domenica si schiera per affrontare una partita di calcio.
Gli studenti hanno notato esattamente questa contraddizione e, nel tempo, senza che noi ce ne accorgessimo o quasi, hanno imparato a dominare questo paradosso scolastico in maniera a dir poco sorprendente.
Dop aver combattuto per tre lustri contro la logica del voto, perché anche nella scuola dell’infanzia più di uno tenta di introdurre l’atteggiamento valutativo e classificatorio, i nostri “maturandi” hanno tutti capito che per affrontare il “nemico voto” e ricevere il maggiore premio possibile, con il minimo sforzo, bisogna conoscere e dominare i meccanismi che determinano l’attribuzione di una valutazione con il numero più vicino al 10 possibile.
Occorre sottostare alle regole non scritte, invero assurde ma comode e rilassanti quando ben amministrate, secondo le quali un cinque e mezzo è già sufficienza se ti mostri abbastanza interessato alle “spiegazioni”; un otto meno meno è già una carezza ed un punto di credito guadagnati se partecipi al progetto di cittadinanza o al PON di turno.
Se poi questi voti vengono conseguiti in periodi dell’anno strategici, come fine aprile – inizio maggio, allora è fatta! Nel successivo intervallo di tempo i professori dovranno inseguire i riottosi all’interrogazione, redigere relazioni finali e tabelle dimostrative, scrivere lunghe ed articolate motivazioni e giustifiche in verbali stile Torquemada, per zittire anche il presidente di commissione più occhiuto e pignolo! Salteranno a piè pari il nome del ragazzo modello che già è stato sentito e … “Magari fossero tutti come lui avremmo una bella classe (tta) ed avremmo finito il programma da un pezzo!”
Inseguire un risultato come unico scopo dell’esperienza scolastica è, per uno studente, un obbrobrio pedagogico ed un cattivo modello di costruzione della conoscenza. Postula un concetto della scuola e dell’educazione che rasenta l’utilitarismo, che prefigura analoghi modelli di comportamento nella ricerca del lavoro, nell’impegno sociale, politico e culturale di cui la vita di ognuno dovrebbe essere costellata.
Ancora peggiore è aver imparato dalle consuetudini che queste regole valgono anche nell’esame di Stato con una variabile indipendente, le varie ed eventuali evidenziate da Stefanel, che pur essendo imprevedibili possono sempre essere arginate utilizzando ulteriori strategie di controllo che i più capaci hanno elaborato nel tempo.
Non a caso su alcuni social frequentati da candidati all’esame di Stato , sono da tempo registrate delle schede di valutazione dei presidenti di commissione tese a indagare il modo di porsi e di relazionarsi , attraverso i tratti evidenti del carattere, dei presidenti e dei commissari. Non mancano collezioni di chat sulle domande poste negli esami precedenti, sul tono del colloquio e sulle esperienze pregresse; i giovani possono imparare a farsi un’idea piuttosto fedele della Commissione e di chi la presiede e … agire di conseguenza .
Un insieme di fattori informali e accidentali che possono essere arginati soltanto con l’unico strumento a disposizione delle commissioni che risiede negli adempimenti formali.
Se a queste due variabili indipendenti che, nel senso stretto dell’aggettivo che le definisce, non possono essere cambiate tanto facilmente, aggiungiamo l’inveterata abitudine a mantenere, nel concreto, una struttura dell’esame di Stato fortemente improntata sugli aspetti disciplinari delle esperienze scolastiche – sebbene l’impianto teorico che emerge dalla normativa sia prevalentemente fondato sulle competenze di ampio respiro – viene fuori un risultato che non deve affatto meravigliare nemmeno quando, all’ approssimarsi della tradizionale puntata balneare, scatta l’ultima dissertazione di massa sulla scuola e sui suoi risultati troppo benevoli, della scuola che non seleziona più e dei bei tempi andati…
A tutti quelli che parlano di Scuola come se si trattasse dei risultati sportivi (con evidente rispetto di chi scrive per i processi iper specializzati che determinano tali risultati), è opportuno ricordare qualche piccola regoletta che più o meno deve conoscere chi si occupa di valutazione per professione. Giusto per sottolineare che nessuno oserebbe contestare il medico ed il farmacista per le terapie somministrate e, parimenti, nessuno si metterebbe d’’accordo con il chirurgo sulla tecnica che applicherà durante l’intervento.
Ai professionisti sembrerà ridondante e inutile ma, posto che si confida nella lettura dei non addetti ai lavori, appare necessario precisare che, alla base degli studi sulla valutazione ci sono i tre principali effetti distorsivi o di alterazione, universalmente riconosciuti, da tenere sotto controllo prima, durante e dopo il processo valutativo:
- Effetto Alone
- Effetto Pigmalione
- Effetto Hawthorne
Molto brevemente, l’effetto alone è un meccanismo mentale per il quale, nel valutare una persona, veniamo influenzati da una sua caratteristica positiva/negativa e tendiamo di riflesso a ritenere che egli abbia altre caratteristiche positive/negative che non sono in alcun modo collegate
alla precedente. Ad esempio considerare una persona intelligente solo perché bella oppure cognitivamente povera solo perché indigente. L’Esperimento di Joshua Bell nel quale il famoso violinista, ha suonato con il medesimo Stradivari del ‘700 del valore di 4 milioni di dollari, all’ingresso di una stazione metro di New York. Joshua Bell proponendo lo stesso repertorio che esibisce in teatro, con biglietti costosissimi e file interminabili al botteghino, ha dimostrato che il contesto e il pre-giudizio condizionano il valore che si attribuisce alle persone ed al loro operato. [1]
Pigmalione,[2] personaggio delle Metamorfosi di Ovidio, è noto per aver dato il nome ad un particolare meccanismo psicologico, l’Effetto Pigmalione appunto, che condiziona la valutazione e si instaura quando una persona deve relazionarsi con un’altra verso la quale nutre già dei pregiudizi. Questo comporterà che Il primo soggetto, il valutatore, si comporterà nei confronti dell’altro in maniera tale da cercare conferma dei suoi pregiudizi. Il secondo soggetto, il valutato, venendo trattato in un determinato modo, tenderà ad adeguare il suo comportamento all’opinione che l’altro nutre nei suoi confronti.
Ovviamente il pregiudizio può essere positivo ( di rado) o negativo ( molto spesso)
Hawthorne, indica l’effetto di distorsione che il valutatore ha sui soggetti osservati, tale da modificare il loro comportamento e distorcere i dati rilevati; prende il nome dalla sede della Western Electric Company di Hawthorne, Chicago dove, dal 1927, si realizzarono esperimenti per determinare le influenze ambientali sulla produttività studiati fra gli altri da Elton Mayo.
Durante e prove di un esame, le prestazioni non sono quasi mai autentiche. Possono essere influenzate negativamente dall’ansia, dalla preoccupazione e dalle condizioni di contesto. Del pari possono essere condizionate positivamente provocando prestazioni migliori per effetto di un impegno inusuale, di una straordinaria attenzione per quello che si sta facendo poiché si è consapevoli di essere valutati anche durante la prova.
È chiaro come la luce del sole che un esame di Stato, che sancisce il termine di un percorso obbligatorio per tutti i cittadini italiani (obbligo formativo), e si realizza correntemente con una forte influenza dei docenti interni e delle loro indicazioni riguardo al credito scolastico, al percorso dello studente ed alle sue performances durante la carriera scolastica, non possa essere selettivo e non debba esserlo perché respingendo, bocciando e non promuovendo, andrebbe contro la sua stessa ragione di esistere.
Allora perché i filosofi, i sociologi e gli opinionisti di grido chiedono che la severità e il rigore all’esame di Stato siano manifestati con la bocciatura di una buona percentuale di studenti, come nei bei tempi che furono, ma solo nel loro immaginario?
La risposta sta nella popolarità di queste affermazioni. Popolarità che viene da retaggi e da rancori classisti mai sopiti nella scuola italiana. E i risultati si vedono tutti nella competitività che la nostra Italia perde sempre di più a livello internazionale. Le eccellenze che abbiamo nel mondo non ci fanno onore come alcuni vogliono far credere. Le eccellenze ci sono e ci saranno sempre anche nei sistemi scolastici e accademici meno efficaci.
Quello che davvero conta è il livello di diffusione dei titoli accademici o terziari, la dispersione scolastica e esplicita e implicita, il livello generale di apprezzamento dei risultati scolastici tra le persone comuni e tra le aziende. Avere una donna italiana, Samantha Cristoforetti, che naviga da capitano sulle astronavi, non salva il bel Paese da una ormai inaccettabile disoccupazione femminile, retaggio atavico di una società incompatibile con il progresso e con la visione necessaria per affrontare il futuro.
Ebbene, in una sua recentissima intervista il prof. Domenico De Masi ha ancora sottolineato il basso livello, in termini percentuali, dei livelli di studio terziario e secondario. Noi italiani abbiamo già una scuola selettiva, nella accezione più becera del termine, una scuola che esclude tanti di quegli studenti da avere il numero più basso di diplomati, di laureati e di specializzati tra i paesi avanzati di cui vogliamo fare parte a tutti i costi. Tanto è vero che la scorsa notte le scuole italiane, quasi tutte, compresi alcuni rinomati licei, hanno ricevuto una vera e propria “camionata“ di Euro per sopperire, mediante i fondi del PNRR alle brutture della dispersione e dell’insuccesso scolastico che, a quanto pare, interessano la gran parte degli istituti italiani, giacché il calcolo della dotazione, non richiesta ma erogata direttamente, è avvenuto sulla base di parametri oggettivi che riguardano i dati INVALSI, i dati della dispersione esplicita e quelli della dispersione implicita.
In questo clima così complesso e articolato sarebbe necessario una forte spinta al dibattito, al confronto ed alla composta definizione di decisioni condivise, sulla base di opinioni diverse. Solo questo sarebbe un indicatore di volontà di crescita e di sviluppo riposta nella scuola, nelle sue azioni, nelle risorse di cui dispone ad ogni livello e che vengono anche incrementate in maniera inaspettata, come mostra il Decreto 170 del 24 giugno 2022.
Invece, e parlo di dati raccolti in 36 anni di onorato servizio negli organi collegiali, la maggior parte delle decisioni che la scuola assume, anche quelle che segnano per sempre la vita di uno studente, viene presa all’unanimità. Ed all’unanimità assumeremo al bilancio anche questa ulteriore iniezione di contanti che assomiglia a quello che faceva Don Peppe “n’ guacchio”, amabile artigiano di Napoli al quale un giorno venne comunicato l’arresto in flagranza di reato, del figlio Pasqualino, per rapina a mano armata. Don Peppe mostrandosi meravigliato affermò che non aveva mai mancato di dargli i soldi in tasca e che non era perciò possibile quanto accaduto.
I soldi non fanno l’Educazione, Don Peppì
[1] Joshua Bell, uno dei più grandi violinisti al mondo, e il violino è uno Stradivari del ‘700 del valore di 4 milioni di dollari. Solo 3 giorni prima Bell aveva fatto il tutto esaurito alla Symphony Hall di Boston, dove il prezzo per il biglietto era di 100 dollari. Come suonatore di strada invece riesce a racimolare poco più di 30 dollari in 45 minuti, e praticamente nessuno dei migliaia di passanti si ferma ad ascoltarlo.
[2] Personaggio delle Metamorfosi di Ovidio, scultore che realizza una statua femminile così bella da innamorarsene.