Il Dirigente scolastico e lo stress
Il Dirigente scolastico e lo stress
di Mario Di Maio
“Ho deciso di essere felice perché ciò fa bene alla mia salute” (Voltaire)
1. Introduzione
I nuovi provvedimenti del governo tendono ad accentuare le situazioni di forte complessità delle Istituzioni scolastiche con un significativo aggravio delle funzioni dirigenziali ed un aumento del pericolo che i dirigenti possano andare incontro a delle situazioni di forte stress, il cui possibile esito, notevolmente negativo, è un aumento delle condizioni di burnout. I provvedimenti del governo Meloni nella Legge di Bilancio 2023 annunciano un Piano di Dimensionamento Scolastico, in cui la cifra attuale di studenti da assegnare a ciascun istituto, infatti, dovrebbe passare da 600 a 900 circa. Ne deriva che saranno realizzati accorpamenti degli istituti. Secondo la stima dei sindacati, entro due anni, chiuderanno 700 scuole. “Il testo approvato dal governo, secondo quanto riporta il quotidiano ‘La Stampa’ dispone che il dimensionamento della rete scolastica dovrà essere attuato entro il 30 novembre di ogni anno. Nei primi 3 anni scolastici il correttivo dovrebbe essere pari al 7%, al 5% e al 30%. Prevista, quindi, la realizzazione di accorpamenti tra istituti: saranno le regioni a decidere in modo autonomo come procedere sulla base del contingente di dirigenti scolastici assegnato”. Alcuni esperti hanno calcolato il numero dei compiti e delle incombenze che gravano su ogni dirigente scolastico e la loro conclusione è che essi, secondo una stima per difetto, sono ben 129, molti dei quali appesantiti da problematiche relative a forti responsabilità. Si è venuta cosi a creare una situazione che, se i dirigenti non mettono in campo una serie di strategie relazionali e comunicative ormai consolidate dalla letteratura relativa alla psicologia del lavoro e dell’organizzazione, porta inevitabilmente al distress e al suo possibile esito che è rappresentato dalla sindrome del burnout
2.Il distress e il burnout
Per poter comprendere in che cosa consiste la sindrome del burnout e quali competenze bisogna acquisire o consolidare per far fronte a questa grave situazione di disagio psicologico, occorre partire da delle considerazioni su un altro fenomeno psicologico che è quello dello stress.
Il termine deriva da una parola inglese che indica sforzo, spinta, tensione (1), a sua volta tratto dal latino “stringere”.
Nell’ambito della scienza medica fu introdotto intorno agli ami ‘40, per indicare l’insieme delle reazioni che un organismo presenta, in seguito alla comparsa di fattori esterni o interni che tendono ad alterarne l’equilibrio.
Dalla medicina si è poi rapidamente diffuso ad altri campi del sapere fino a diventare una parola di uso comune nel linguaggio di tutti i giorni.
Nel corso di questo passaggio, il termine stress ha ampliato il proprio significato, diventando quasi un sinonimo di vita caotica, di condizione urbana negativa, di ritmi e di livelli di vita ormai lontani dai comportamenti naturali dell’uomo.
Lo stress è cosi divenuto il problema primario per una umanità sempre più disumanizzata, afflitta da un sovraccarico di stimoli, che non le permettono di conseguire un salutare equilibrio psico-fisico.
Il problema dello stress ha assunto anche dei connotati di tipo storico-culturale. Esso è stato inquadrato in una questione che si può far risalire ad un periodo tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX. In quegli anni si cerca di contrapporre alla
civiltà scientifica e tecnologica, una visione più umana e meno razionale della realtà, un contrasto che, per certi aspetti possiamo ritrovare nel mito del “buon selvaggio” e nelle polemiche russoniane del ” Discorso sulle scienze e sulle arti”.
Tra i primi ad impiegare il termine di stress nell’ambito della medicina fu il fisiologo W.B. Cannon, che legò il fenomeno all’ alterazione di quell’equilibrio dinamico presente negli organismi viventi che va sotto il nome di omeostasi (2),
Hans Seyle ha ripreso in chiave moderna le teorie sull’alterazione dell’omeostasi, introducendo il termine stress per indicare quella particolare risposta difensiva alle pressioni esterne o interne, fisiche o psichiche, acute o croniche, che possono sconvolgere l’equilibrio dell’organismo, inducendolo a delle risposte, talvolta positive, altre volte negative, che possono portarlo alla perdita della propria armonia interna.
Questa definizione di stress non coincide con quella che è stata data da altri studiosi che, spesso, si sono riferiti alle cause scatenanti il disagio che più propriamente sono state definite da Seyle con il termine di stressori.
Nel linguaggio comune la confusione è ancora maggiore. Spesso lo stress viene scambiato con l’ansia, con la nevrosi o rientra in più complessi fenomeni che vengono ricondotti all’inconscio.
Oggi la ricerca più avanzata afferma che le risposte fisiologiche allo stress sono di tipo multifattoriale, caratterizzate “non soltanto dall’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene, ma dai cambiamenti che interessano diversi sistemi dell’organismo e che si influenzano reciprocamente (3).
L’organismo va incontro, continuamente, a situazioni d’instabilità a cui cerca di porre rimedio, in una continua attività di riequilibrio, in cui lo stress, inteso come risposta inefficace, produrrà effetti patologici. La diretta conseguenza di queste considerazioni è che l’organismo è continuamente sottoposto a condizioni di stress, in quanto l’ambiente esterno stimola senza interruzioni il soggetto stesso in seguito alle modifiche continue a cui esso lo sottopone.
Al giorno d’oggi, le situazioni che creano dello stress non si possono risolvere attraverso una reazione di tipo fisico, anzi possono essere sempre presenti. Questa situazione provoca che le sostanze chimiche prodotte per fronteggiare gli stressori, vengono eliminate molto più lentamente.
Quando non si riescono a fronteggiare più i fattori di stress e non si ha più l’energia per resistere c’è la fase dell’esaurimento, in cui si è maggiormente vulnerabili alle malattie psicosomatiche. Nelle situazioni peggiori è imminente l’esaurimento fisico e psichico.
Le successive ricerche sullo stress portarono a delle importanti conclusioni nello studio del comportamento umano: non soltanto gli stimoli fisici causavano risposte fisiologiche, ma anche stimoli psicologici. La sensazione di una situazione di pericolo, la perdita di posizione sociale, un insuccesso nell’ambito della carriera, potevano costituire delle situazioni che davano origine a delle risposte generalizzate a livello delle strutture di controllo dell’omeostasi, molto simili a quelle provocate da stimoli fisici quali il freddo, il caldo, il dolore, ecc.
Un’ulteriore conclusione fu che gli stessi stimoli fisici producevano effetti di stress solo se assumevano una rilevanza psicologica. La ricerca ha sottolineato il ruolo di grande importanza del sistema nervoso centrale che ha il compito di valutare se è stato compromesso l’equilibrio omeostatico e quindi operare le opportune contromisure. Gli altri apparati del corpo umano, attraverso dei neurotrasmettitori, mandano le informazioni su ciò che accade nelle regioni di loro competenza e il sistema nervoso valuta se la situazione è da considerarsi stressante oppure di facile soluzione.
Lo psicologo americano R. Lazarus apportò ulteriori conoscenze all’argomento dello stress, confermando quella che era l’importanza della variabile cognitiva, cioè la valutazione che ogni individuo dà della situazione stressante. L’introduzione di questa variabile permette di dare una risposta ad una questione che fino a quel momento era rimasta insoluta: perché delle situazioni che causano stress in certe persone, da altre vengono accettate senza che ci siano particolari disagi? Lazarus risponde che ciò dipende da come la situazione sarà percepita e valutata dalla persona: se essa verrà percepita come una sfida, come una situazione da risolvere, ma il soggetto pensa di aver i mezzi per poter fronteggiare lo stressore, lo stress si abbasserà o potrà trasformarsi in un senso di euforia, in cui l’omeostasi tenderà facilmente ad equilibrarsi o giungerà ad un livello di organizzazione superiore. Se, al contrario, il soggetto ha la consapevolezza di non avere gli strumenti necessari, la situazione di stress aumenterà d’intensità, producendo dei gravi squilibri (4).
La situazione può essere esemplificata facendo riferimento al caso dì un dirigente scolastico che deve implementare un’organizzazione piuttosto complessa per portare a termine un progetto.
Alla luce delle sue esperienze pregresse valuterà se il compito rappresenta una sfida o un’incombenza che difficilmente porterà a termine. Se il dirigente ha realizzato altri progetti che hanno avuto esito positivo, lo stressore sarà percepito e valutato in modo positivo (valutazione primaria positiva). Il dirigente è in grado di dare ad esso un’efficace risposta, attraverso le abilità e le competenze acquisite durante la sua carriera professionale (valutazione secondaria positiva). Un’altra situazione è quella di un dirigente la cui attività è costellata da insuccessi, per cui lo stressore sarà percepito come una minaccia alla quale far fronte (valutazione primaria negativa). Se poi egli sarà convinto di non possedere le competenze necessarie per la realizzazione del compito (valutazione secondaria negativa), l’implementazione dell’organizzazione diventerà un vero e proprio incubo, dando origine ad atteggiamenti dì rifiuto.
Il primo tipo di stress viene definito eustress (o stress benefico e positivo), il secondo distress (stress negativo). Infatti qualora lo stress potenziale venga vissuto come eustress, le risposte di natura psicologica generano una sensazione benefica, che permette di superare anche le situazioni di disagio, attraverso un circolo “virtuoso” che conferisce al soggetto una carica emozionale che aumenta il livello di autostima.
Questo fenomeno è una chiara dimostrazione di come la mente influenza il corpo e se, in condizione di eustress gli effetti sono positivi, nel caso del distress si realizza il coinvolgimento, con effetti patologici, dei diversi distretti dell’organismo.
Gli elementi che producono i diversi modi di affrontare lo stress anche se sono di tipo esperienziale sono, però, legati a degli elementi innati. Essi sono influenzati dalla filosofia di vita della persona, dalla sua struttura cognitiva ed dal suo senso di autoefficacia.
La filosofia di vita di una persona, anche se il termine è piuttosto generico, indica l’atteggiamento che ogni individuo presenta nei riguardi della situazione che deve affrontare. Essa è influenzata dalle esperienze pregresse, dal modo in cui i genitori hanno impostato il proprio ruolo educativo, dall’autostima sviluppata nei propri confronti.
La struttura cognitiva “è fondamentalmente composta di processi ed idee. I primi sono modalità, mediante le quali veniamo in contatto con la realtà che ci circonda. Le seconde sono dei convincimenti personali che tutti noi possediamo” (5).
Per esemplificare il fenomeno si può indicare la situazione di una persona alla quale è stato riferito che il suo interlocutore ha un carattere duro, ostinato. La persona sceglierà, inconsapevolmente, di prestare attenzione ad alcuni modi di fare o di esprimersi, che possono confermare il pregiudizio che si ha nei riguarda dell’altro. Saranno tralasciati quei comportamenti che potrebbero far riconsiderare l’opinione che si ha dell’altra persona, proprio perché si è deciso dì prestare attenzione all’aspetto negativo della sua personalità o a quello che sembra tale. Questa esperienza verrà rafforzata da altre osservazioni sempre negative, per cui, alla fine, si arriverà alla conclusione che, effettivamente il nostro interlocutore ha un brutto carattere. Avviene così il passaggio da un processo orientato alla negatività ad un giudizio, un’idea, anch’essa con caratteristiche negative.
L’esempio riferito è di scarsa importanza per l’equilibrio della persona che emette il giudizio sull’altro ma la situazione può diventare particolarmente spiacevole quando avviene nell’ambito lavorativo, nei rapporti tra il dirigente e gli operatori della scuola.
Il distress costituisce un evento negativo nell’ambito del ristabilirsi dell’equilibrio psicofisico dell’individuo (6).
Esso produce reazioni, spesso patologiche, di tipo fisiologico, psicologico e comportamentali, in quanto i cambiamenti interessano quasi tutti i distretti dell’organismo.
La prevenzione del distress dovrebbe avvenire a livello mentale, in modo che il sistema nervoso possa controllare i meccanismi messi in opera dall’organismo in funzione delle situazioni di disagio che l’individuo si trova ad affrontare. Nel distress spesso avviene che i processi che l’organismo mette in campo sono del tutto irrilevanti, spesso dannosi. Essi, se si prolunga la situazione di stress, possono provocare delle gravi risposte patologiche “L’intuizione che una crisi dell’organismo stia alla base di importanti eventi patologici ha radici profonde e antiche nella cultura umana ed emerge chiara dall’analisi delle pratiche terapeutiche sviluppate dalle culture preletterate” (7).
Nel mondo contemporaneo i meccanismi di compensazione alle situazioni di distress si sono molto ridotti, per cui ogni individuo, che si trova in questa condizione, a lungo andare, può incorrere in gravi conseguenze fisiche.
Tuttavia non è soltanto il corpo che può essere influenzato negativamente da una forte situazione di stress, anche la mente ne può risentire in modo acuto, dando origine a delle reazioni di tipo psicologico. Si possono provare delle sensazioni di ansia (e panico), di rabbia (e collera), ci si può sentire depressi. Le reazioni al distress possono anche provocare dei disturbi nelle abilità di pensiero, come la capacità di concentrazione e di memorizzazione. Spesso si presentano pensieri disfunzionali; c’è la tendenza ad esagerare la valenza di determinate situazioni o di concentrarsi selettivamente sugli aspetti negativi di alcuni eventi.
I dirigenti che si trovano a subire il distress appaiono meno tolleranti, sono sempre pronti a “minacciare” sanzioni disciplinari, impongono il loro “punto di vista”.
Le situazioni di estremo disagio provocate dagli stressori possono causare dei problemi sempre più acuti: l’ansia, la depressione, i sensi di colpa. Essi producono una situazione di esaurimento fisico ed emozionale, di spersonalizzazione, di scarsa realizzazione personale, gli aspetti caratterizzanti della sindrome del burnout (8). Questa situazione psicologica deriva dal, termine inglese che vuol dire letteralmente “bruciare fino in fondo”, costituisce una condizione risultante da livelli elevati e continui di distress, che si traducono in un forte esaurimento mentale ed emozionale. Questa sindrome colpisce in modo particolare coloro che sono impegnati nelle cosiddette professioni di aiuto. Costituisce una forma di adattamento al distress attraverso un cambiamento degli atteggiamenti dell’individuo in risposta a situazioni di lavoro impegnative, difficili, frustranti. Si caratterizza come “una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e di riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti che per professione “si occupano della gente” (9).
3.Il burnout nei dirigenti scolastici
La maggior parte delle persone dedica quasi un terzo della propria vita adulta a svolgere un’attività lavorativa e, nel caso dei dirigenti scolastici, spesso, tale percentuale è ancora più gravosa.
Le indagini sui rapporti tra burnout e dirigenti scolastici sono piuttosto rare nell’ambito della letteratura specialistica. Per non andare troppo indietro nel tempo, si può far riferimento a quella svolta nel 1997, in cui una lettura dei risultati evidenziava l’assenza del burnout tra i dirigenti (ancora presidi e direttori didattici) intervistati. Tale conclusione veniva avvalorata dai bassi livelli di esaurimento emotivo e depersonalizzazione registrati, elementi esaminati nell’ambito degli item del questionario (10).
Nel 2006, con il processo di Autonomia scolastico largamente avviato, la situazione è radicalmente cambiata. Le ricerche sul distress e sul burnout provati dai dirigenti scolastici hanno rilevato una nuova fonte di stress, indicata col nome di “boundary spanning stress” (letteralmente “stress da attraversamento dei confini”) “legata ad un sovraccarico o ad una difficile gestione di aspettative e di compiti contrastanti o conflittuali tra la dimensione interna e quella esterna della propria organizzazione scolastica” (11). I dirigenti scolastici operano in “zone di frontiera” in bilico tra la gestione dell’organizzazione delle proprie scuole e le esigenze educative del contesto territoriale, tra gli adempimenti burocratici e la leadership educativa che dovrebbe dare una linea di azione valoriale e metodologica al Curricolo di scuola. Le ultime indagini, anche quelle meno strutturate da un punto di vista scientifico ma basate su interviste e considerazioni desunte da confronti tra dirigenti nell’ambito delle Associazioni professionali, hanno evidenziato un profondo malessere che si manifesta attraverso un continuo disagio psicologico soprattutto per quanto riguarda le pressanti richieste che vengono rivolte al dirigente nello svolgimento del suo lavoro. Egli rappresenta il punto di riferimento delle esigenze e dei bisogni di tutti gli “attori” dell’istituzione scolastica. L’altro elemento, particolarmente defatigante, è il rapporto con l’Amministrazione, da cui si ricevono, con poco o pochissimo anticipo, informazioni per ottemperare ai diversi adempimenti, spesso contraddittori tra di loro a cui si accompagna la carenza di indicazioni necessarie per il lavoro. Il disagio è aumentato ancora di più durante il periodo della pandemia, con disposizioni poco chiare, spesso legate alle interpretazioni (sic!) fornite dagli Organi sanitari.
4. Linee di prevenzione e d’intervento contro il burnout
Gli effetti del burnout che si manifestano nel comportamento di un dirigente scolastico si traducono in una forte situazione di disagio fisico e psicologico per quelli che lo subiscono, ma anche per gli utenti dell’istituzione scolastica, per l’organizzazione del lavoro ma anche per i suoi familiari.
E’ opportuno, quindi, che il dirigente conosca le strategie che diano una risposta adeguata che riduca o annulli l’influenza di uno o di tutti gli elementi caratteristici del burnout.
Occorre che venga ridotto l’esaurimento emozionale, si compensi la visione negativa della gente, si potenzi il senso di autostima.
Le tecniche di gestione del burnout possono essere di tre livelli: personale, sociale, istituzionale.
Il primo livello comprende quelle metodiche che possono essere intraprese dal singolo. A quello sociale le tecniche richiedono l’intervento di altre persone, come i colleghi. Il livello istituzionale comprende quegli interventi di tipo amministrativo ed istituzionale che possano aiutare il soggetto a trattare lo stress.
La gestione individuale del burnout contempla delle tecniche che riguardano sia il proprio stile di lavoro sia quello di vita.
Nell’ambito della propria attività lavorativa, occorrerà lavorare meglio anziché aumentare il ritmo, con un’organizzazione del lavoro che cerchi di prevedere le emergenze, anche se sappiamo, per esperienza diretta, che le richieste e gli adempimenti burocratici, spesso, calano all’improvviso sulle istituzioni scolastiche e richiedono tempi particolarmente ristretti.
Un altro metodo è quello di stabilire degli obiettivi realistici. Spesso i dirigenti scolastici intraprendono la loro attività animati da grandi ideali e con finalità elevate e questo, sicuramente, rientra nella leadership educativa propria del loro ruolo ma in queste situazioni il rischio di burnout è particolarmente alto. Se, invece, per la propria attività lavorativa vengono fissati obiettivi specifici e realistici, che possono avere un riscontro immediato, pratico, la loro realizzazione sarà raggiunta in modo più facile, e, anche se ciò non avviene, il dirigente potrà individuare i motivi di fallimento in modo più semplice.
Un’altra tecnica è quella di operare con una strategia differente in una situazione già affrontata precedentemente. Il burnout nasce in contesti lavorativi di tipo ripetitivo. Il dirigente si sente intrappolato dalle norme burocratiche ma se sceglie, invece, delle strategie di risoluzione diverse rispetto a quelle già esperite, esce dalla routine, assume un maggiore controllo del proprio lavoro, si sente più autonomo.
Nella situazione lavorativa non tutti gli aspetti possono essere modificati, per cui è importante individuare quali possono essere cambiati e quali no.
Il lavoro del dirigente si svolge a continuo contatto con gli altri, siano essi docenti, assistenti amministrativi, studenti, genitori. E’ opportuno, perciò, che nel lavoro vengano previsti dei momenti di pausa in cui si possa “riprendere fiato”, ci si rilassi un po’. Anche se è un intervallo breve, è sufficiente a rallentare il ritmo, a dare calma, a ricominciare da capo. Spesso avviene che la pausa di lavoro serva per svolgere altri compiti sempre attinenti alle proprie attività. Questo è un modo errato di trascorrere il tempo dell’intervallo che dev’essere usato effettivamente per allontanarsi dalle pressioni e dall’impegno del proprio ruolo.
Infine bisogna cercare di non farsi coinvolgere troppo dal proprio lavoro. Spesso l’esaurimento emotivo diventa eccessivo quando il rapporto emozionale con i docenti, gli altri operatori scolastici, gli studenti e le famiglie diventa sproporzionato. Quando la situazione appare insostenibile, occorre assumere un atteggiamento più distaccato che permetta di oggettivare la situazione, che così può essere considerata in modo più razionale. Bisogna che le emozioni passino al vaglio dei processi mentali, per evitare che il comportamento del dirigente sia di tipo emozionale.
Bisogna aver cura di se stessi, oltre che degli altri. Per fare ciò occorre che il dirigente conosca bene i suoi limiti, le proprie reazioni personali e i motivi che le suscitano. Dovrebbe realizzare un’autoanalisi, attraverso l’espressione dei propri sentimenti, registrandoli su un diario o su un supporto magnetico, parlandone con un amico o con un collega. Individuare i punti di forza del proprio comportamento è importante quanto riconoscere le proprie debolezze. Anche il riposo e il rilassamento sono altri due metodi di risposta allo stress cronico. Infine bisogna separare il mondo del lavoro da quello della famiglia e degli amici, per evitare di portarsi a casa la tensione dei problemi lavorativi. Il distacco dal lavoro può essere realizzato impegnandosi in degli hobby, interessandosi a delle attività che permettano di creare delle condizioni per scaricare la tensione fisica e psicologica.
In generale il dirigente scolastico dovrebbe rafforzare le sue capacità di resilienza nell’affrontare le problematiche che deve risolvere nello svolgimento dei suoi compiti. Essa consiste nella “capacita di un individuo di resistere agli urti della vita senza spezzarsi o incrinarsi, mantenendo e potenziando inoltre le proprie risorse sul piano personale e sociale”(12).
La persona resiliente non è un super eroe, ma solo una persona comune dotata di alcune capacità che possono essere acquisite. Le caratteristiche che rendono una persona resiliente sono:
– possedere delle buone capacità progettuali;
– in grado di produrre cambiamenti;
– avere la responsabilità delle azioni intraprese;;
– essere dotato di una discreta dote di flessibilità;
– possedere un buon livello di empatia nei rapporti comunicati e relazionali;
– essere motivati;
– godere di un livello adeguato di tenacia;
– essere fornito di un atteggiamento di speranza verso la realtà;
– mostrare coerenza nelle azioni svolte (13).
Per quanto riguarda la gestione sociale del burnout, numerosi studi hanno determinato l’importanza del confronto con altri dirigenti, anche nell’ambito delle Associazioni di categoria, di attività di counseling, sia individuale sia di gruppo, per affrontare percorsi di stress management, la partecipazione a corsi di aggiornamento (14).
In modo particolare i colleghi dirigenti e gli esperti di psicologia dell’organizzazione possono costituire le persone che sono in grado di aiutare, a gestire il burnout (15).
Essi possono fornire quel “sostegno sociale” di cui spesso ha bisogno il dirigente che prova un acuto sovraccarico emozionale Le persone possono fornire delle informazioni e dei punti di vista nuovi, possono aiutare a scoprire delle capacità latenti, possono dare il feedback necessario per essere gratificati. La solidarietà dei colleghi attraverso sia riunioni formali o informali, colloqui a due, conversazioni, è un fenomeno spesso essenziale per superare i momenti difficili dell’attività lavorativa o addirittura per sopravvivere nel lavoro. Possono fornire una visione diversa dei problema, sdrammatizzandolo o razionalizzandolo.
Un altro contributo che possono dare è quello che permette di superare il fenomeno che viene indicato con il termine d’” ignoranza pluralistica”. Parlando con i colleghi si può scoprire che anch’ essi hanno gli stessi problemi e le difficoltà che il dirigente pensava che fossero sue esclusive prerogative; attraverso una comparazione con gli altri il problema può perdere d’intensità emotiva.
Il terzo tipo di gestione, quello istituzionale, dovrebbe agire sulle caratteristiche che, nell’ambito dell’organizzazione scolastica in generale, costituiscono dei fattori che causano, nei dirigenti, il disagio psicologico.
Si conoscono, ormai da oltre 20 anni, gli aspetti che le normative dovrebbero modificare per rendere il ruolo del dirigente scolastico meno sensibile alle situazioni di distress. “Appare stridente il contrasto tra le altisonanti enunciazioni di principio, che enfatizzano la qualità e l’efficienza, e le infinite disposizioni, spesso ambigue e scoordinate che complicano e appesantiscono operazioni e procedure di gravami burocratici, destrutturando il sistema scolastico e minandone la tenuta complessiva”(16).
Quando l’istituzione si accorge che esso provoca delle carenze che si ripercuotono non soltanto sul rendimento del dirigente scolastico ma su tutta l’organizzazione, l’istituzione dovrebbe essere costretta ad operare dei cambiamenti. La diminuzione dei casi di burnout dovrebbe costituire un’esigenza fondamentale in qualsiasi tipo di organizzazione lavorativa ma, purtroppo, in pratica, non è così e i provvedimenti del nuovo governo sul dimensionamento scolastico ne sono una conferma.
Il Ministero dovrebbe predisporre degli appositi servizi di counseling e potrebbe realizzare, nell’ambito dei corsi di formazione e di aggiornamento, dei seminari sul problema del burnout, per mettere così in evidenza i pericoli derivanti per i dirigenti. Una considerazione a supporto di quanto detto è la normativa relativa allo “stress da lavoro correlato”, che indica le iniziative che il dirigente scolastico deve attuare per difendere i docenti dal distress ma altrettanto dovrebbero fare gli Organi centrali e quelli periferici nei riguardi degli stessi dirigenti scolastici (17).
In conclusione, “la scuola è un’istituzione che fa star male quelli che ci lavorano”(18) ma spetta a tutti gli operatori scolastici e, in primis, ai dirigenti di attuare per sé, per i propri docenti e per gli utenti dell’istituzione una serie di strategie che definiscano, invece, un quadro di “ben-essere”, fondamentale per la creazione di un “luogo” dell’educazione e della formazione attento ai bisogni e alle esigenze di tutti; soltanto così si potrà garantire una scuola che svolga in modo efficace le sue finalità istituzionali.
1 A. Borrelli, E. Chinol, T. Frank, Dizionario fondamentale inglese-italiano, Milano, De Agostini,1994
2 W.B.Cannon, The wisdom of the body, New York, Norton & Company, 1963
3 S.Cabib, S.Puglisi, Lo stress, Bari, Laterza, 1995
4 K.Lazarus, Stress and coping, New York, Columbia University Press, 1985
5 P.Meazzini, “Quando lo stress colpisce”, in Psicologia e Scuola, Firenze, Giunti,,n.87
6 P. Meazzini, op.citata
7 M.Di Pietro, L.Rampazzo, Lo stress dell’insegnante, Trento, Erickson, 1997
8 C.Maslach, La Sindrome del burnout, Assisi, Cittadella Editrice, 1982,
9 C.Maslach, op cit.
10 D.Francescato, A.Putton, D. Frondaroli, Il burnout e il dirigente scolastico, in Psicologia e Scuola, n.86, Ed Giunti, Firenze.
11 F.Ferrante, Vita da dirigente scolastico: il “boundary spanning stress”, in Psicologia e Scuola, n.131, Ed Giunti, Firenze.
12 A. Oliverio Ferraris. La forza d’animo. 2003, Rizzoli, Milano
13 ibidem
14 A.Galeazzi, S.Cadorin,Il dirigente scolastico di fronte allo stress, in Psicologia e scuola, n.125, Giunti Editore, Firenze
15 Ibidem
16 P.Romei, Guarire dal “mal di scuola”, 2000, La Nuova Italia Editrice, Milano
17 MIUR, Valutazione dei rischi collegati allo stress lavorativo, ’art .28, comma 1 del D.Lgs 2008, N. 81, integrato con il D. Lgs 3 agosto 2009, n. 106, art.28 comma 1-bis
18 P.Romei, op.citata