Scuola come ascensore sociale? Povertà educativa e dispersione scolastica
Scuola come ascensore sociale? Povertà educativa e dispersione scolastica
di Cristina Potenza
L’istruzione e la formazione hanno rappresentato uno strumento di riscatto e di elevazione sociale, giocando un ruolo determinante nel miglioramento delle condizioni di vita per le generazioni uscite dai due conflitti mondiali, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra e fino agli anni Settanta del XX secolo. Un periodo coincidente con la fase di crescita economica e sociale post-bellica, che ha visto aumentare le opportunità di avanzamento in senso verticale fra le classi sociali e ha consentito a molti giovani di salire nella piramide sociale. Questo fenomeno si è poi arrestato con il rallentamento della crescita economica: a partire dalla fine degli anni Settanta, infatti, l’ascensore sociale ha smesso di funzionare in salita, iniziando a discendere.
Numerosi sono gli studi longitudinali che hanno confermato l’importanza dell’istruzione nel miglioramento della condizione sociale, rilevando al contempo il peso del condizionamento familiare nell’accesso ai livelli superiori della formazione.
Vale la pena citare una ricerca pionieristica condotta da Bourdieau e Passeron (1) negli anni Sessanta del XX, in cui i due studiosi dimostrarono come la percentuale di studenti che arrivava a studiare all’università fosse strettamente correlata con l’estrazione sociale degli stessi. In buona sostanza si evidenziava la tendenza dei figli a seguire le orme dei padri anche in merito agli studi: l’eredità culturale riproponeva le disuguaglianze sociali.
Questa tendenza è stata successivamente confermata da alcuni studi longitudinali di settore condotti dall’ISTAT (2) che indicano, ancora oggi, l’influenza esercitata dalla condizione economica e culturale di partenza sulla regolare frequenza scolastica. Lo svantaggio economico e sociale è, altresì, determinante in tutti i casi di abbandono, e incide maggiormente nelle situazioni di basso livello di istruzione parentale.
L’abbandono degli studi prima del diploma riguarda il 22,7% dei giovani i cui genitori hanno al massimo la licenza media; incidenze molto contenute di abbandoni, pari al 5,9% e al 2,3%, si riscontrano, invece, per i giovani rispettivamente con genitori con un titolo secondario superiore e genitori con un titolo terziario. Similmente, se i genitori esercitano una professione non qualificata o non lavorano, gli abbandoni scolastici sono più frequenti (circa il 22%), mentre sono contenuti quando la professione più elevata tra quella del padre e della madre, è altamente qualificata o impiegatizia (3% e 9%, rispettivamente).
Sebbene il fenomeno sia in calo – i dati rilevano infatti una decrescita del fenomeno dal 20,8% del 2006 al 13,5% del 2020 -, il divario fra Nord e Sud continua a presentare livelli preoccupanti.(3)
L’ultimo studio della Fondazione Rocca (4) presentato nei mesi scorsi dipinge un quadro desolante, a macchia di leopardo, di una scuola con tanti problemi da risolvere, che “licenzia” una grande percentuale di studenti impreparati, con acquisizione insufficiente delle competenze di base in italiano, matematica e inglese, un ascensore sociale bloccato da almeno venti anni.
Facciamo il punto della situazione
I dati che emergono dagli ultimi Rapporti di Save the Children fotografano una situazione di recessione economica che, partendo dal 2008, ha causato un aumento dei tassi di povertà soprattutto nelle zone più svantaggiate del pianeta e un incremento della numerosità delle persone esposte al rischio di povertà. Ciò si evidenzia in tutti i Paesi presi in esame dai Rapporti citati e in Italia il fenomeno è alquanto marcato.
L’evidenza più eclatante: forte correlazione tra povertà, dispersione scolastica, esclusione sociale, emarginazione lavorativa, a tutte le latitudini. All’interno di tale quadro i più recenti Rapporti evidenziano la popolazione giovanile come quella cui rivolgere maggiore attenzione, in considerazione di allarmanti dati sull’abbandono scolastico precoce, la povertà educativa e l’aumento del numero dei NEET.
In linea con la maggior parte degli obiettivi dell’Agenda 2030, il Rapporto Save the Children del 2017 (5) si concludeva con indicazioni e suggerimenti rispetto alla necessità di maggiori investimenti mirati a potenziare i sistemi di protezione (ammortizzatori) sociali, onde favorire la permanenza nel mondo della scuola, una formazione di qualità, assicurare i servizi pubblici essenziali, creare occasioni di impiego a condizioni dignitose.
Purtroppo i tre anni di pandemia appena trascorsi hanno esacerbato disagi preesistenti e inevitabilmente spostato l’asticella dell’Agenda oltre il 2030. Appare quanto mai urgente intervenire, come segnalato da più parti e confermato dal recentissimo Rapporto Save the Children di Settembre 2022.
La sua lettura induce un’approfondita riflessione sull’efficacia e l’efficienza del nostro sistema scolastico, sulla sua reale inclusività e sulla sua capacità di ridurre il condizionamento dell’origine sociale rispetto all’accesso ai livelli più avanzati di istruzione. Esso ci mostra come l’evento pandemico abbia aggiunto alla povertà educativa, causata dalla recessione economica, anche il peggioramento delle competenze, ampliando, di fatto, le disuguaglianze educative imputabili ai fattori socioeconomici e culturali cui si faceva riferimento sopra.
Il Rapporto analizza i diversi elementi che contribuiscono alla “learning loss” stabilendo correlazioni tra i fattori che incidono su questo fenomeno emergente.
La prima evidenza riguarda l’aumento della povertà educativa, strettamente correlato alla povertà economica (in forte aumento dal 2008 a causa della recessione economica) e catalizzato dalla forzosa interruzione dei percorsi scolastici causata dalla pandemia.
I dati più recenti testimoniano dell’incremento dell’incidenza della povertà assoluta tra i minori, passata dal 13,5% del 2020, al 14,2% del 2021 (pari a 1 milione 382 mila bambini), dopo una relativa diminuzione nel 2019; ed al tempo stesso della povertà educativa. (6)
I dati confermano, inoltre, quanto rilevato negli anni precedenti alla pandemia: i minori provenienti da famiglie economicamente svantaggiate sono quelli che negli ultimi anni hanno evidenziato i livelli più bassi di apprendimento e di conseguenza sono quelli più a rischio di dispersione scolastica.
Si conferma anche l’incidenza dell’ambiente sociale, economico e culturale di provenienza sugli apprendimenti. In tutte le competenze testate da Invalsi emerge, infatti, che i punteggi ottenuti nelle prove aumentano man mano che migliora lo status sociale, con scarti maggiori tra i punteggi bassi e medio-bassi rispetto a quelli alti.
Non è infrequente che lo svantaggio socioeconomico sia accompagnato da un background migratorio: tale connubio genera le condizioni propizie della disuguaglianza educativa.
Riguardo agli alunni stranieri emerge la presenza di ostacoli che ne inficiano il percorso scolastico determinando un ritardo che nel settore secondario di II grado interessa il 53% degli alunni stranieri.
Il Rapporto 2022 evidenzia, in alcune scuole, la concentrazione di gruppi di alunni più deboli dal punto di vista economico e culturale, tale da costituire una sorta di “ghetto educativo” all’interno del quale si verificano dinamiche a cascata sui livelli di apprendimento inter pares e di insegnamento da parte dei docenti. L’apprendimento degli alunni viene influenzato dal livello generale dei compagni, mentre gli insegnanti sono portati a ricalibrare programmi e metodi sulla base delle contingenze, penalizzando così gli studenti di livello potenzialmente più alto.
La condizione socioeconomica di appartenenza influisce anche sulla scelta della scuola superiore. A parità di risultati scolastici, coloro che provengono da contesti più favoriti si orientano verso percorsi liceali, mentre altri percorsi (tecnici e professionali) vengono scelti da coloro che provengono da famiglie di ceto socioeconomico modesto.
La seconda evidenza si riferisce alla dispersione scolastica.
Non si tratta di abbandono scolastico tout court, ma di un fenomeno che presenta numerose sfaccettature, le cui cause sono molteplici e non tutte misurabili nella loro ampiezza e influenza. E’ un fenomeno che può verificarsi a diversi stadi del percorso scolastico e caratterizzarsi come abbandono, uscita precoce dal sistema formativo, assenteismo, frequenza passiva, accumulo di ritardi che influenzano negativamente le prospettive di crescita e formazione culturale dello studente.
Per “misurare” la dispersione scolastica e l’abbandono scolastico precoce un indicatore molto diffuso e riconosciuto a livello internazionale è l’indicatore ELET (Early Leavers from Education and Training). Esso prende in considerazione la percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno completato al massimo la scuola media e che non sono coinvolti in percorsi formativi di livello superiore. Giovani che, nella migliore delle ipotesi, hanno ottenuto la licenza media e che non frequentano – o hanno smesso di frequentare – le superiori.
Nel 2021 la quota di ELET italiani è stata del 12,7%, dato in calo rispetto all’anno precedente (13,1%) ma ancora alto rispetto alla media europea e soprattutto distante dal traguardo del 9% stabilito dal Consiglio dell’Ue per il 2030.
Nello specifico, l’ultima rilevazione disponibile del Ministero dell’Istruzione (2021) (7) evidenzia una percentuale di abbandono complessivo, per la scuola secondaria di I grado, dello 0,64% (pari a 10.938 alunni), mentre per la scuola secondaria di II grado questo dato raggiunge il 3,79% (pari a 98.787 alunni).
Rispetto alla scuola secondaria di secondo grado si rilevano percentuali molto diverse a seconda dei vari percorsi di studio: molto contenute nei licei (1,6%), sensibilmente più elevate negli istituti tecnici (3,8%) e in quelli professionali (7,2%). Nei Percorsi IeFP, di competenza regionale, la percentuale di abbandono raggiunge il 7,9%.
Nel delicato passaggio tra i due cicli scolastici di scuola secondaria, si registra un abbandono dell’1,14% dei ragazzi in uscita dalla terza di primo grado.
Un elemento rilevante in questa analisi, e precursore dell’abbandono scolastico, è il ritardo scolastico causato, generalmente, da bocciature.
In totale sono circa 110.000 gli alunni che abbandonano annualmente la scuola italiana, oltre a quelli che si perdono nel passaggio dal primo al secondo ciclo. Il nostro Paese, infatti, nel 2020 resta al quartultimo
posto per numero di abbandoni precoci, col 13,1%, ben al di sopra del valore medio dell’Unione (9,9%). Tale quota corrisponde a circa 543.000 giovani; il dato è in leggero calo rispetto all’anno precedente. (8)
Mentre le regioni del Sud evidenziano una forte incidenza dell’abbandono scolastico come dato assoluto, rispetto al Nord, nelle regioni settentrionali si rileva una forte correlazione tra l’abbandono scolastico e la percentuale di stranieri.
Secondo le rilevazioni Invalsi, inoltre, la scuola italiana è meno equa nelle aree più disagiate del paese (in particolare nelle regioni del Sud), dove i risultati sono molto diversi anche tra scuola e scuola, o tra classe e classe. (9)
La dispersione scolastica è direttamente collegata con il fenomeno dei NEET, ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in un percorso di istruzione o di formazione.
Una lettura ragionata dei dati ISTAT rende di tutta evidenza l’imprescindibilità del ruolo della scuola per la sua capacità di trattenere gli studenti fino alla fine del ciclo di studi: molto importante rafforzare i legami tra scuola e mondo del lavoro per creare un ponte fra le due realtà. Ben vengano, dunque, tutte quelle iniziative riformatrici dei curricoli professionalizzanti negli istituti tecnici e professionali per renderli capaci di offrire un’esperienza formativa in grado di ancorare i ragazzi a una realtà professionale che farà parte del loro futuro lavorativo.
Una terza evidenza è rappresentata dalla cosiddetta dispersione implicita che riguarda quegli studenti che non abbandonano la scuola, ma imparano poco, oppure imparano male o in modo irregolare, arrivando al diploma senza aver raggiunto gli obiettivi di apprendimento minimi stabiliti per la fine del ciclo scolastico di secondo grado e quindi senza sviluppare le competenze necessarie per entrare nel mondo del lavoro o all’Università.
Si tratta di un dato che l’INVALSI ha iniziato a misurare a partire dal 2019, prendendo in considerazione il numero di studenti che terminano il percorso scolastico senza aver acquisito le competenze fondamentali.
Per effetto della pandemia, la percentuale di studenti in tali condizioni all’uscita del sistema scolastico è cresciuta in modo significativo fra il 2019 e il 2021 passando dal 7,5% al 9,8%. Nel 2022, nonostante un lieve calo dello 0,1%, la dispersione implicita è ancora distante dai livelli pre-COVID-19 (10)
I dati delle rilevazioni INVALSI sono in grado di fotografare la situazione nella scuola italiana con restituzioni granulari di performance a livello territoriale.
Il quadro che ne emerge non sorprende rispetto a quanto già evidenziato in precedenza; si assiste, infatti, a una notevole disparità fra regioni meridionali e Centro Nord in riferimento a tutte le aree di competenza indagate.
Alla fine del I ciclo la percentuale di studenti del Mezzogiorno che non raggiunge competenze adeguate in italiano si attesta fra il 45% e il 49% mentre nelle regioni del Centro-Nord fra il 34-35%. In riferimento alle competenze in area logico-matematica gli alunni del Mezzogiorno si attestano su percentuali di mancato raggiungimento degli obiettivi minimi comprese fra il 54% e il 60%, mentre tale percentuale scende al 36%-40% al Centro-Nord.
Ulteriore prova delle enormi differenze all’interno della realtà scolastica italiana, la percentuale di studenti che ha conseguito un titolo di studio conclusivo del ciclo secondario di istruzione, con un livello 2 di competenze in Italiano e Matematica e nemmeno il livello B1 in Inglese, raggiunge una media nazionale del 7,3%, ma gli scarti fra le regioni sono ampi e vanno da poco più dell’1% al 16,3%.
Questa è un’altra dimostrazione della forbice esistente tra le scuole del Centro-Nord e quelle del Sud: un divario che diventa ancora più ampio alla fine del secondo ciclo.
Le differenze non sono riferite solamente al territorio ma anche al percorso di studi prescelto dagli studenti con performance superiori nei liceali e più scarse negli studenti dei tecnici e dei professionali. In generale, il livello di competenze acquisite nelle scuole del Mezzogiorno è peggiore della media, qualunque sia il tipo di istituzione formativa considerata.
Sommando il dato relativo a quello di chi non consegue il titolo di studio (quasi il 15%) con quello di chi lo consegue senza averne i prerequisiti di competenza funzionale (oltre il 7%), il quadro è allarmante.
Si tratta di criticità che inevitabilmente si ripercuotono sul capitale umano e sociale del nostro Paese, con possibili ricadute sui costi del Welfare e della vita individuale. La variabilità espressa dai risultati delle prove INVALSI offre una misura delle differenze che intercorrono fra scuole, classi, territori. (11)
L’efficacia e l’equità dei sistemi formativi sono fondamentali per lo sviluppo e il benessere individuali, per la coesione sociale e la prosperità economica di un Paese. Il successo formativo si configura come un processo che investe la crescita umana sin dai primi giorni di vita all’interno del contesto familiare e sociale di riferimento coinvolgendo gli ambiti dell’apprendimento e dell’insegnamento. Oltre ad essere necessario nella strategia di crescita di un popolo, si configura come azione di giustizia sociale.
La scuola può, e deve tornare ad essere strumento di promozione sociale, per garantire uguale diritto di istruzione a tutti i suoi cittadini contrastando l’influenza dell’origine sociale sul livello di apprendimento degli studenti, limitando e rimuovendo gli ostacoli di qualsiasi ordine che possano impedire il pieno sviluppo della personalità umana (artt. 3 e 34 Cost.).
I risultati delle rilevazioni INVALSI adeguatamente utilizzati ci danno la possibilità di intervenire e potenziare l’intervento educativo sin dalla scuola primaria, quando iniziano a manifestarsi, in modo da poter monitorare il fenomeno e tentare di ridurlo con interventi di potenziamento del percorso formativo.
Il Rapporto Save the Children 2022 fornisce delle indicazioni e dei suggerimenti utili sulle misure organizzative e strutturali da adottare nelle scuole allo scopo di ridurre i divari e le diseguaglianze e mettere la scuola pubblica in condizioni di adempiere il suo mandato costituzionale attraverso la creazione di spazi, tempi e modi per l’apprendimento che siano a misura di un’utenza sempre più variegata ed esigente in termini di bisogni educativi.
Ciò richiede un incremento delle spese per l’istruzione, un investimento sul futuro che consentirà la promozione della formazione del personale docente ed educativo in vista delle nuove sfide post pandemiche, soprattutto in merito alle competenze metodologiche, all’innovazione, alla digitalizzazione.
Investimenti che non potranno prescindere dalla creazione di nuove strutture e infrastrutture scolastiche all’altezza dei tempi e dalla messa in sicurezza di quelle esistenti.
Ovviamente, i fondi stanziati per il PNRR Istruzione giocheranno un ruolo di fondamentale importanza per il rilancio della scuola italiana, per la riduzione dei divari territoriali, della povertà educativa, della dispersione scolastica.
Si tratta di una irripetibile occasione per prepararsi ad affrontare le sfide educative del futuro.
1) Pierre Bourdieu e Jean-Claude Passeron “Les héritiers. Les étudiants et la culture” Ed. Minuit, 1970
2) Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza “La dispersione scolastica in Italia: un’analisi multifattoriale” ed. Eurosia Roma, 2022 Pag. 22-33
3) Ibidem
4) Fondazione Rocca “Scuola, i numeri da cambiare” Ed. TreElle, Novembre 2022
5) Sconfiggere la povertà educativa in Europa, Rapporto Save the Children, 2017
6) Alla ricerca del tempo perduto, Rapporto Save the Children Settembre 2022
7) MI DGSIS Ufficio gestione patrimonio informativo e statistica, La dispersione scolastica aa.ss. 2017/2018 – 2018/2019 e aa.ss.. 2018/2019 – 2019/2020, Roma, Maggio 2021
8) Ibidem
9) Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Op. Cit.
10) Ibidem
11) “Scuola, i numeri da cambiare” Fondazione Rocca Ed.TreELLE, Novembre 2022