Autonomia differenziata e scuola: una necessaria analisi retrospettiva per scegliere la giusta prospettiva.
Autonomia differenziata e scuola: una necessaria analisi retrospettiva per scegliere la giusta prospettiva
di Domenico Ciccone
Nel dibattito che da tempo si sente, sebbene a sprazzi quasi sconnessi, sull’autonomia differenziata delle regioni, sarebbe opportuno tentare un ragionamento non solo funzionale ed applicativo, incentrato prevalentemente sui LEP ma doverosamente ancorato ai principi costituzionali irrinunciabili che, nella accezione giuridica comune, non possono essere in alcun modo violati.
Di certo, la legge costituzionale 3 del 2001 non è stata concepita in maniera difforme o incompatibile con gli scopi della Carta e, in quanto tale, non può e non deve innescare nessun tipo di conseguenza che vada in direzione opposta.
Il filo logico che sottende questa semplice deduzione sembra perfino banale. Eppure l’impressione diffusa e, probabilmente, non molto diversamente percepita da una parte dell’opinione pubblica è che l’accesso all’autonomia differenziata, per i popoli che la chiedono, appaia una maniera non vietata di agire applicando la Costituzione in maniera diversificata: in alcune zone del Paese pienamente ed incondizionatamente, rispetto ad altre zone ed altri popoli che vedrebbero diminuire l’intensità dei propri diritti in quanto riconosciuti in maniera parziale, a causa delle limitazioni di ordine strutturale e di contesto, e condizionata dai vincoli di bilancio e di spesa dati dall’assottigliamento delle casse regionali.
I principi costituzionali devono rimanere saldi.
La nuova distribuzione delle competenze, dibattuta ampiamente in sede parlamentare (1), dovrà essere idonea ad assicurare il pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (esplicitandosi in relazione a questi il rinvio all’articolo 118 della Costituzione). In via aggiuntiva a questi principi, nel corso dei lavori del Senato è stato richiamato il principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione-
Una precisazione anche essa ovvia ma, a quanto pare, necessaria, è che nessuna regione a statuto ordinario potrà interpretare le norme sull’autonomia differenziata in maniera da rendersi simile ad una regione a statuto speciale, per rivendicare l’esercizio di spazi impropri di autonomia quasi a suggello di una diversità culturale o di un diritto maturato sul campo dell’economia regionale e dell’apporto al PIL nell’attuale momento storico.
L’autonomia differenziata rimane, tuttavia, una ennesima occasione per contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese purché ne siano delimitati gli ambiti e le potenzialità in questo determinato spazio temporale e nel rispetto dei principi e della stessa Costituzione che la contiene, nel titolo V.
Il disegno di legge AC 1665, attualmente all’esame della Camera dei deputati, vede trattati con precisione i principi generali, le modalità procedurali, i poteri in capo alle diverse autorità, gli atti necessari per conferire Autonomia differenziata alle regioni che ne fanno esplicita richiesta, i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP), il trasferimento delle funzioni e le clausole finanziarie con le relative misure perequative.
Lo sfondo costituzionale della scuola
Chiarito questo sfondo indispensabile, per chi si occupa prevalentemente di scuola, occorre ricordare preliminarmente come viene intesa la scuola per la Costituzione del 1948: l’assemblea costituente la concepisce come strumento dello Stato per raggiungere gli scopi costituzionali e non in maniera riduttiva come servizio bensì come compito, momento cruciale per la costruzione della Repubblica, non in maniera assoluta ed astratta bensì in modo da lasciare in primo piano la persona e il diritto all’uguaglianza sociale.
Questa ispirazione della Carta Costituzionale è di sicuro figlia delle intuizioni di John Dewey, tra gli autori che più hanno influenzato i padri costituenti, atteso che l’opera più importante del più grande pedagogista del
1 Senato della Repubblica – Dossier XIX Legislatura – Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione A.C. n. 1665
‘900 “Democrazia ed Educazione” viene pubblicata, tradotta in italiano, nel 1949 non senza aver già influenzato il pensiero e le idee in tema di educazione di molte menti illuminate e di alcuni parlamentari della Costituente.
Non secondaria è stata l’influenza del pedagogista Carleton Washburne, allievo di Dewey, colonnello americano responsabile alleato per la politica scolastica in Italia nel secondo dopoguerra e supervisore dei Programmi 1945, per la scuola elementare.
Questa tesi, sostenuta, tra gli altri, da Anna Maria Poggi, anima una visione che ci consente di considerare anche i LEP da una prospettiva diversa.
Le norme generali sull’istruzione, oggi saldamente nelle competenze dello Stato, appaiono tra quelle che possono anche ricadere, per le Regioni che dovessero chiederlo, nell’ambito dell’Autonomia differenziata.
Nell’ultimo testo “Calderoli” dopo i numerosi emendamenti, l’autonomia differenziata ha previsto che l’Istruzione possa essere completamente regionalizzata perfino nella diretta gestione del personale scolastico.
Tuttavia, questa norma va coniugata con la decisiva questione del LEP, problematica di non poco conto, soprattutto se coniugata con l’idea di scuola che emerge dalla Costituzione del 1948.
Il rischio è che la scuola, vista come funzione, organo e anche scopo dello Stato, venga riformata, pensandola non più come tale ma in quanto tenuta fornire alcune prestazioni che la pongono, in una visione riduttiva, alla maniera di un servizio pubblico.
I LEP rappresentano e danno corpo all’essere ed al vivere delle persone, che deve essere affidata all’eguaglianza.
In assenza di LEP, oppure di fronte a Livelli essenziali delle prestazioni non ponderati e non realistici, l’autonomia differenziata apre al pericolo di diseguaglianze inammissibili.
Questo, si potrebbe obiettare, vale come principio generale, con l’autonomia differenziata ma anche senza di essa. Nel contesto attuale, nel quale le diseguaglianze sono aumentate, fino a raggiungere dimensioni allarmanti per le esigenze del Paese, nello scenario internazionale, non già in termini di progresso assoluto, che l’Italia è stata capace di garantire alla sua popolazione nel secolo scorso ed in questo primo quarto di secolo, ma in termini congiunturali, dopo i vari richiami dell’Europa in tema di competenze della popolazione attiva.
La CLEP, “Commissione per i LEP” che ha il compito di individuarli, ha ben presente che per svolgere il proprio compito, occorrono studi, ricerche, sperimentazioni di tecniche, bilanciamenti fra i vari livelli da garantire, continui aggiornamenti e risorse organizzative e finanziarie adeguate.
Ma come si rende in LEP il concetto di Montaigne “ Testa ben fatta non ben piena“ dando soddisfazione anche a Morin, al comma 2 dell’articolo 3 Cost. ed alla riforma del titolo V del 2001?
E come conciliare alcuni LEP che appaiono legati ad un modello di mero servizio scolastico ma che invece vanno ad incidere sull’uguaglianza sostanziale dei cittadini, come ad esempio il tempo pieno scolastico, considerato in maniera differente a seconda che a valutarlo siano i giuristi oppure gli economisti?
I primi lo considerano un diritto teso alla garanzia dell’uguaglianza dei cittadini i secondi lo leggono come un servizio a domanda individuale delle famiglie, che può essere reso soltanto a fronte di una compartecipazione della spesa.
È utile perciò ricordare che l’autonomia differenziata non potrà essere concessa soltanto sulla base delle intenzioni manifestate dalle regioni. Nel disegno di legge 1665, in ordine all’articolo 116 Cost., vengono definite le materie per le quali è indispensabile prima determinare i LEP e, successivamente, la norma attribuisce al presidente del Consiglio il potere di limitare il conferimento dell’autonomia differenziata ad alcune materie o ambiti tra quelli individuati dalle regioni stesse.
La scuola tra l’autonomia differenziata imminente e l’autonomia scolastica sempre più affievolita…
Cade oggi l’anniversario della pubblicazione in GU del D.P.R.275/99, Regolamento dell’autonomia scolastica; un quarto di secolo, con un bilancio in chiaroscuro, che sicuramente non verrà ricordato come un periodo storico ricco ed affascinante per la scuola italiana e per i suoi operatori. In questi anni di autonomia scolastica sono stati perduti alcuni primati della scuola italiana benché le successive norme del regime autonomistico abbiano introdotto il principio della personalizzazione, a garanzia del successo formativo, vero scopo dell’autonomia scolastica in quanto garanzia di applicazione del comma 2 dell’articolo 3, sull’uguaglianza sostanziale dei cittadini.
Pur avendo sempre privilegiato l’approccio personalizzato mediante un curricolo appositamente progettato, in ciascuna delle istituzioni scolastiche dello Stato, ancora oggi gli apprendimenti degli studenti non raggiungono, in molte zone del Paese, accettabili livelli in termini di equità e soprattutto di giustizia in educazione.
Con una lettura quasi speculare, analizzando i dati INVALSI si possono individuare delle sovrapposizioni tra le curve che descrivono il rendimento scolastico dei giovani e quelle che attengono ai livelli di reddito e di background studiorum delle famiglie.(2)
Inutile puntualizzare che le famiglie con maggior reddito e maggiore livello di studi dei genitori vivono generalmente nelle zone dove la scuola raggiunge risultati più elevati ma soprattutto più equi. Non solo per caso si tratta degli stessi contesti regionali intenzionati alla richiesta di autonomia differenziata per la voce “Istruzione”.
Eppure, sul piano storico, la scuola derivante dal carattere unitario del sistema educativo nel Paese è stata uno strumento costituzionale che ha funzionato egregiamente, dal 1948 in poi, per elevare la dignità dei cittadini, rendere più equa la società, favorire il progresso, rinforzare l’economia ed eliminare ogni disuguaglianza fondata sulle differenze di istruzione tra le persone.
Le attuali differenze, leggibili nella società come nella scuola corrono il rischio di essere accentuate dall’Autonomia differenziata, a giudizio anche di comuni cittadini preoccupati dalla sorte del Paese di fronte al regionalismo spinto ed alla sia pur legittima aspirazione delle regioni a richiedere più autonomia nelle materie consentite.
Questa scuola non dovrebbe diventare una delle materie sulle quali aprire una trattativa tra Stato e singole regioni richiedenti ma restare, sia pur con rinnovati ed ampliati spazi di autonomia, un poderoso dispositivo capace di sostenere e cambiare le sorti del Paese, di tutto il Paese e di ogni cittadino.
L’autonomia differenziata è nella Costituzione così come tutti i principi ed i diritti che caratterizzano il sistema scolastico italiano. Con la scuola occorre attenzione, più di quella necessaria per le altre materie, seppure importanti, citate nell’articolo 116 al Titolo V; un’attenzione che è dovuta al più grande sistema di garanzia dei diritti della persona, intesa nella sua globalità, quale la scuola continua a rimanere, nonostante tutto.
(1) Senato della Repubblica – Dossier XIX Legislatura – Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione A.C. n. 1665
(2) Il caso INVALSI, preparazione proporzionale al reddito? Uno sguardo complessivo Di Andrea Maggi – 17/08/2022 Tuttoscuola