Buona scuola e Autonomia: l’impegno (non rinviabile) di un Governo riformatore
Buona scuola e Autonomia: l’impegno (non rinviabile) di un Governo riformatore
di Nicola Puttilli
E’ stato di sicuro interesse il seminario organizzato martedì 13 gennaio da ANDIS e DISAL sul tema della nuova dirigenza scolastica presso la Sala del Refettorio alla Camera dei Deputati.
Come sempre un piacere sentire Luigi Berlinguer, ormai uno dei pochi in grado di coniugare competenza, entusiasmo e passione civile e saperli trasmettere a chi ha la fortuna di interloquire con lui.
Chiara, didascalica e in grado di cogliere con grande precisione i nodi problematici del tema in discussione la prof.ssa Anna Poggi, ancora una volta chiamata a collaborare con la nostra associazione.
Il dibattito, al quale hanno preso parte i rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei DS, delle associazioni dei docenti, del MIUR e della stampa specializzata, ha fornito ampi spunti di riflessione e una generale convergenza circa l’opportunità di proporre significativi emendamenti all’art. 10 del DDL 1577, operazione alla quale la nostra associazione intende fornire il proprio contributo.
Purtroppo importante, per quanto giustificata, l’assenza del Sottosegretario Davide Faraone impegnato nelle votazioni alla Camera.
Importante perchè il problema della dirigenza è legato in modo diretto e indissolubile al tema dell’autonomia che è a sua volta di assoluta centralità politica e attualità in qualsiasi serio progetto di riforma della nostra scuola.
Nel mio intervento a fine mattinata mi è piaciuto ricordare come proprio all’inizio del percorso dell’autonomia, ai tempi di Berlinguer ministro e dintorni tanto per intenderci, le scuole hanno potuto assaporare qualche briciola di autonomia vera con una parvenza di organico funzionale, qualche risorsa finanziaria un po’ più che simbolica derivante da una 440 non ancora decimata e un fondo di istituto che consentiva qualche margine di gestione del personale, in una situazione organizzativa di già elevata complessità.
Poca cosa in verità se rapportata a un modello ideale di autonomia compiuta o ai livelli di autonomia già esistenti nelle istituzioni scolastiche di Paesi con caratteri simili al nostro. La legge n.59, istitutiva di autonomia e dirigenza, data peraltro 1997 ed era quindi del tutto legittimo, allora, considerarsi solo all’inizio di un percorso che molti di noi si auguravano e (ingenuamente) credevano passabilmente rapido e fecondo.
A distanza di oltre un quindicennio, quasi il tempo di una generazione, non solo questi progressi non si sono realizzati ma abbiamo assistito a un percorso a ritroso nel corso del quale è stato tolto tutto o quasi del poco che era stato concesso.
L’autonomia è stata patologicamente intesa e praticata come un processo di scarico alle scuole di incombenze amministrative e burocratiche sempre più invasive e abnormi, quasi sempre irrilevanti rispetto all’obiettivo di fondo dell’istituzione scolastica che è e rimane quello di un esito formativo di qualità per tutti i propri alunni.
Con la “Buona Scuola” il governo compie alcune scelte importanti nel ricostruire le condizioni per un’autonomia praticabile e per una scuola di qualità: l’organico funzionale che offre finalmente elementi di stabilità e certezza circa la possibilità di organizzazione della più importante risorsa a disposizione e fornisce la possibilità di qualificare e caratterizzare l’offerta formativa; la dichiarata lotta senza quartiere alle cosiddette molestie burocratiche; l’impegno all’assegnazione di adeguate risorse finanziarie per la realizzazione della propria progettazione didattica e formativa, anche attraverso il potenziamento e il rinnovo delle nuove tecnologie e molto altro che non è il caso di richiamare analiticamente in questa sede.
La realizzazione di una piena autonomia va tuttavia ben oltre l’adozione dell’insieme di queste misure, richiede un ribaltamento di prospettiva, una rivoluzione concettuale che era ben presente nella norma originaria ma che ha trovato realizzazione per la sola parte burocratica e più banalmente amministrativa (sovraccaricando le scuole di procedure e incombenze improprie e distogliendole dai loro obiettivi di carattere formativo, mentre l’Amministrazione scolastica centrale e periferica, nelle sue varie diramazioni, ha continuato pervicacemente a gestire in prima persona le risorse finanziarie e di personale).
L’amministrazione scolastica centrale e periferica dovrebbe finalmente svolgere quelle funzioni di indirizzo, coordinamento, verifica, redistribuzione delle risorse che sono irrinunciabili in un sistema fondato sulle autonomie e che invece sono ancora le grandi assenti nel nostro sistema scolastico.
Ad oltre quindici anni dal varo dell’autonomia non sono stati definiti i Livelli Essenziali delle Prestazioni, né modalità di verifica di sistema in grado di garantire interventi di riequilibrio e di redistribuzione delle risorse in uno dei sistemi scolastici con i più ampi indici di differenziazione, in relazione a processi ed esiti di apprendimento, di tutto il mondo occidentale.
Rilanciare pertanto in modo non ideologico il discorso dell’autonomia significa dotare l’amministrazione scolastica centrale e periferica degli strumenti idonei a garantire coerenza, efficienza ed equità a un sistema scolastico complesso e disgregato come quello del nostro Paese, lasciando finalmente tutte le leve gestionali (dagli organici funzionali, alle risorse finanziarie e per la formazione, ecc.) alle autonomie scolastiche, liberate da incombenze di natura burocratica e meramente amministrativa che potrebbero essere affidate ad appositi centri territoriali (vedasi a tal proposito il documento relativo al seminario dello scorso ottobre sul nuovo profilo del dirigente scolastico organizzato dalla nostra associazione, su www.andis.it).
Si tratta di operazioni non semplici che toccano interessi consolidati e non è un caso che siano rimaste sulla carta per oltre un quindicennio, ma un governo che si definisce e vuole essere coerentemente riformatore deve ripartire da qui. Non bastano le pur significative proposte della “Buona scuola”, per quanto funzionali a questa impostazione, se non inserite in un quadro di piena realizzazione dell’autonomia, l’unica grande e decisiva riforma dell’ultimo ventennio rimasta clamorosamente incompiuta.
Siamo ormai entrati nella fase matura della legislatura e il tempo rimanente è appena sufficiente per realizzare un impegno di tale portata. E’ pertanto necessario e non più rinviabile procedere alla messa a punto di una strategia che definisca tempi e modalità per la compiuta realizzazione, entro la legislatura in corso, di questa fondamentale riforma. Lasciar passare inutilmente altri cinque anni vorrebbe dire affossare definitivamente l’autonomia e con essa la dirigenza, per come noi la intendiamo. E questo, per un governo riformatore e che pone la scuola al centro dei suoi interessi e della sua azione, sarebbe davvero imperdonabile.