Aspettando il decreto su carriera e meriti
Aspettando il decreto su carriera e meriti
di Antonio Valentino
In queste ultime settimane, sul problema della valorizzazione della professionalità docente attraverso scatti di competenza e percorsi di carriera legati al merito, sono intervenuti diversi soggetti protagonisti, senza però che nebbie e oscurità siano scomparse del tutto. Comunque qualche novità – rispetto a quanto contenuto nel documento sulla Buona scuola – si registra, almeno nelle dichiarazioni del sottosegretrario Faraone a Sole 24 ore di metà gennaio e nella posizione di TREELLE – associazione culturale di grande peso nello scacchiere della politica scolastica del Paese – (stesso periodo).
I due percorsi di carriera
Si prospettano in entrambe le posizioni, con qualche differenza non però significativa, due distinti percorsi: il primo riguardante la didattica (o meglio: formazione e sostegno alla didattica da parte di apposite figure esperte); il secondo, la collaborazione col DS e la cura del funzionamento didattico-organizzativo.
E si chiarisce
• che il titolo acquisito sarà permanente sul piano giuridico e permetterà di concorrere per la Dirigenza Scolastiva e Tecnica;
• che i passaggi previsti alla nuova più avanzata posizione sono condizionati (ma questo si deduce da altre dichiarazioni di fonte ministeriale) alla disponibilità, da parte di queste due nuove figure, a coprire incarichi che la scuola vorrà loro affidare nell’aria di competenza;
• che saranno comunque retribuiti, per queste due aree di attività, solo gli incarichi che siano stati effettivamente coperti (il passaggio alla nuova posizione giuridica, sembra di capire, non comporta quindi automaticamente un aumento stipendiale);
• che gli incarichi potranno essere rinnovati triennalmente; ma che comunque il rinnovo è rimesso alle valutazioni e alle decisioni autonome delle scuole (per evitare automatismi, blocchi e rigidità nel ricambio).
Sin qui le convergenze. Su come si accederà a questi due percorsi, non ci sono però novità. Presumibilmente lo strumento sarà il portfolio delle competenze e delle esperienze maturate, oltre alla dichiarazione di disponibilità degli insegnanti che vi aspirano. Per quanto riguarda le quote di personale a cui riconoscere l’accesso, la cifra complessiva di cui si parla si aggira, mediamente, su una percentuale tra il 20-25%: a seconda del tipo di scuola e probabilmente del progetto formativo (per il percorso di carriera più legato al supporto formativo del personale, si parla di una quota all’incircadel 10%).
Sul nodo della valutazione, si sa che il soggetto previsto è il Nucleo di valutazione interno (NdVI): DS, 2 docenti, i figura esterna di “garante”. (È stata recentemente proposta anche la presenza di uno studente per le scuole superiori, ma lasciamo perdere).
Sulle modalità della valutazione, circola invece una proposta di un qualche interesse secondo cui, per le decisioni ultime (assegnazione dei crediti e riconoscimento dei passaggi di carriera), ciascuna componente del Nucleo dovrebbe disporre di una quota parte del punteggio complessivo (a titolo puramente esemplificativo: 40% per la componente docente, 40% per il DS, 20% per la figura esterna).
Ma le carriere non sono il cuore della questione docente.
Una considerazione non ottimistica su questa attenzione insistita sulla carriera.
A scanso di equivoci: vanno certamente bene i percorsi di carriera e l’attenzione al tema. L’interrogativo nasce dall’impressione che questa focalizzazione possa significare sottovalutazione del problema più importante che è – a voler essere monotoni – il nucleo della questione docente; e cioè: ridare ruolo sociale, spirito di appartenenza, qualità e motivazione al lavoro degli insegnanti, nel modo più efficace possibile: riconoscere i meriti che si acquisiscono sul campo, attraverso modalità che spingano a migliorarsi e ad accettare la sfida del cambiamento.
Cambiamento che comunque, per essere “produttivo”, dovrà valorizzare il lavoro cooperativo e la reciprocità delle relazioni, evitando chiusure autoreferenziali, separatezze e gerarchizzazioni dannose. Difficilmente – penso – misure premiali che ignorino questi principi di riferimento diventerebbero leve per la buona scuola; che ignorino cioè l’idea di una leadership diffusa; non propriamente assimilabile alla nozione di leadership distribuita che patrocina TREELLE. D’altra parte, neanche parlare di “quadri intermedi” – come fa lo stesso Sottosegretario, per indicare le figure di collaborazione e di coordinamento – ci fa fare dei passi in avanti (e non solo per i termini usati).
La questione è certamente delicata, ma certe scorciatoie non aiutano. Anche perché sul tema non siamo all’anno zero, e le elaborazioni fin qui maturate (si pensi all’ “èquipe di direzione” di Piero Romei e a modelli organizzativi a struttura interna reticolare impliciti nella scuola come Comunità di pratiche e come Organizzazione che apprende ) offrono spunti per uscirne da “buona scuola”.
Ancora la questione degli investimenti
Comunque, il recupero della centralità del tema: motivazione e protagonismo diffuso dei docenti, è pensabile soprattutto (e anche su questo l’originalità si spreca! ) prospettando riconoscimenti economici del merito attraverso soldi “freschi”: questi sì, segnali utili sul fronte della motivazione e di un diverso appeal del lavoro docente. Ma anche evitando in ogni modo logiche divisive.
Per questo, si legge come una nota stonata -anche se coerente con il suo spartito – quella di TREELLE che ripropone la soglia del 66% dei docenti da premiare; proposta tra l’altra già bocciata dalla consultazione ministeriale.
Altra cosa sarebbe un ragionamento sugli scatti di anzianità che prevedesse la riattribuzione a tutti di una quota parte e affidasse alle scuole la gestione della parte restante del fondo (sia per quanto riguarda il numero di docenti da premiare sia la misura del compenso). Gestione da ancorare verisimilmente ad uno standard nazionale che sia misura di riferimento per le valutazioni interne.
Ma, su questo punto soprattutto, una interrogativo enorme: si pensa che
sulla partita salariale e sulla riorganizzazione del lavoro, nelle quali le questioni accennate rientrano a pieno titolo, si possa prescindere, per loro positiva soluzione, da relazioni sindacali rimesse su un giusto binario? Prove muscolari, da qualunque parte provengano, non giovano alla causa.
Sul Nucleo di Valutazione
Ancora un appunto su un aspetto della questione che, se non affrontata opportunamente, potrebbe diventare non uno strumento-risorsa, ma un handicap.
Mi riferisco al Nucleo di Valutazione.
Se ne sta parlando in questi giorni anche a proposito dell’autovalutazione delle scuole, operazione che ha anch’essa il NdVI come soggetto protagonista.
Pensiamo veramente che, su un organismo che ha la composizione numerica prevista (va tra l’altro considerato che il DS ha le sue gatte quotidiane da pelare, i due docenti le loro classi e la figura esterna i suoi impegni lavorativi), si possano far cadere pesi di tale responsabilità, delicatezza, fatica? Neanche raddoppiando il numero si può pensare di risolvere il problema.
Perché allora – mi chiedo – non affrontarlo, in prima battuta, tenendo separate le funzioni, non priopriamente assimilabili, richieste per l’autovalutazione, da quelle per la valutazione dei docenti?