Leadership distribuita e leadership condivisa: consensi e dubbi
Leadership distribuita e leadership condivisa: consensi e dubbi
di Aldo Tropea
La lettura delle riflessioni di Antonio Valentino sulle recenti prese di posizione del sottosegretario Faraone e di “Treelle” muove a reazioni diverse. Da un lato, il più convinto consenso sia sulla ricostruzione iniziale dello stato dell’arte ( auspicando sia quella giusta…); dall’altro su alcuni aspetti fondamentali nell’approccio alla questione del “merito”.
Per quanto riguarda la parte positiva, non si possono non condividere:
a) il rifiuto della premialità per il 66% della categoria, riproposto da “Treelle” e l’ancoraggio invece della progressione retributiva a “ un ragionamento sugli scatti di anzianità che prevedesse la riattribuzione a tutti di una quota parte e affidasse alle scuole la gestione della parte restante del fondo (sia per quanto riguarda il numero di docenti da premiare sia la misura del compenso). Gestione da ancorare verisimilmente ad uno standard nazionale che sia misura di riferimento per le valutazioni interne”
Meglio di così non si potrebbe dire.
b) la preoccupazione sulle attribuzioni del Comitato di Valutazione, cui la recente Direttiva ministeriale attribuisce anche il compito di formulare il RAV ( rapporto di autovalutazione): un carico di lavoro che fa ritenere indispensabile il distacco almeno parziale dall’insegnamento per i componenti, pena la riduzione della valutazione a un mero compito di routine burocratica
c) la necessità di uno spazio autonomo – di peso non rilevante – di valutazione per il DS
d) l’urgenza di aprire immediatamente un fronte di trattativa sindacale per gli aspetti squisitamente contrattuali che inevitabilmente discendono dalla nuova impostazione. Attenzione: “trattativa” non vuol dire, come in passato è spesso stato, delegare di fatto al sindacato modi e tempi di gestione di una questione che interessa tutti i cittadini; ma neppure scavalcare completamente ogni momento di confronto sulle conseguenze sulle modalità e il riconoscimento delle prestazioni lavorative richieste. Tra l’altro, senza entrare nel merito, la CGIL ha definito alcune linee di piattaforma su cui certamente anche noi dovremo aprire un dibattito.
Quel che mi preoccupa invece, nelle osservazioni di Antonio, è proprio l’idea-sospetto secondo cui l’introduzione di figure di “quadri intermedi” nella scuola significherebbe necessariamente introdurre elementi di gerarchizzazione e mettere in secondo piano la caratteristica cooperativa del lavoro docente. Ed infatti, la convinzione di fondo è che i concetti di “leardship distribuita” e “leadership condivisa” non soltanto non coincidono, e che la prima potrebbe anzi in qualche misura contrapporsi alla seconda.
Su questo, francamente, il mio dissenso è profondo.
Se è vero infatti che al centro di qualunque ricostruzione della dignità e della qualità del sistema formativo sta la riqualificazione della figura e del riconoscimento sociale dei docenti, è anche vero che solo la crescita di una organizzazione capace di apprendere e di aiutare anche i suoi membri più deboli può realisticamente servire allo scopo, senza dover aspettare il mitico momento in cui tutti, ma proprio tutti, raggiungano livelli professionali di eccellenza.
Mi spiego: la presenza delle famose figure di coordinamento didattico e organizzativo non solo non si contrappone alla valorizzazione del lavoro di tutti, ma è la condizione perché possa migliorare la qualità media del servizio offerto da parte di tutti gli operatori. Una funzione seria di coordinamento didattico, offrendo sostegno formativo, strumentando e verificando l’attuazione delle decisioni collegiali assunte nel POF non sarebbe in verità l’unico modo per fa uscire la collegialità dalla retorica e farla divenire pratica effetiva ?
Sto pensando a cose come la costruzione di prove comuni e griglie di valutazione; alla diffusione di metodologie interattive; alla generalizzazione di aree di progetto; al rapporto scuola-lavoro, etc., ciascuna delle quali sia presidiata d un responsabile capace di offrire strumenti, rilevare e discutere contraddizioni.
Questo vuol dire rinunciare al coinvolgimento di tutti ? O non vuol dire piuttosto provare a migliorare la qualità media del servizio formativo, fornendo anche gli indicatori di base per una sua valutazione ? E’ ormai unanimemente riconosciuto che le scuole migliori sono quelle che, per l’appunto, godono di uno “staff” ampio e qualificato, che è esattamente quello che oggi sta andando in crisi ovunque a causa dei tagli insostenibili al fondo di istituto e al mancato riconoscimento normativo.
Insomma, io temo che questo parte del discorso di Antonio rischi di diventare un alibi per la conservazione dello status quo, anche se so bene che non è questa a sua posizione e che intende solo sottolineare un obiettivo irrinunciabile, che è quello di migliorare la prestazione professionale di tutti. E tuttavia, io penso che bisogna dire con chiarezza che la “leadership distribuita” – in cui peso decisivo ha ovviamente il dirigente scolastico – costituisca la pre-condizione per mettere in condizioni tutti gli operatori di esprimere al massimo la loro professionalità e per consentire il massimo di condivisione delle scelte della scuola autonoma.
Per questo io penso che la priorità sia quella di una valutazione per tutti con la determinazione di una soglia minima al di sotto della quale non dovrebbe scattare neppure lo scatto legato all’anzianità; ma anche di un effettivo e serio riconoscimento del lavoro e delle funzioni dei “quadri intermedi”, fermo restando che la “mediazione” non è tra una direzione aziendale e una linea esecutiva, tipica del modello taylorista, ma tra le scelte dell’istituto autonomo, che è al tempo stesso centro di erogazione del servizio di una scuola statale e struttura di una comunità locale organizzata, e la pratica effettivamente agita.