Marzo 9

Il dilemma della certificazione: accertamento di standard o valutazione formativa?

images4AW7U2W0Il dilemma della certificazione: accertamento di standard o valutazione formativa?
di Giancarlo Cerini

La “mossa” del Ministero
La certificazione delle competenze implica una valutazione “oggettiva” degli apprendimenti degli allievi, perché li collega a precisi livelli e standard, oppure si inserisce nell’alveo della valutazione formativa tipica della nostra scuola di base, a partire dalla legge 517 dell’ormai lontano 1977? La domanda non è oziosa, perché siamo in presenza di un nuovo oggetto nel panorama della valutazione italiana, proposto per ora sperimentalmente nel primo ciclo con la CM n. 3 del 13 febbraio 2015, cioè del modello nazionale per la certificazione, previsto dal regolamento sulla valutazione (il Dpr 122/2009).
Il rischio, quando si introducono novità che potenzialmente riguardano tutte le scuole è che l’innovazione si riduca ad una operazione formale, ad una “carta” da compilare che si aggiunge stancamente ai numerosi adempimenti cui sono tenute le scuole e gli insegnanti. Il rischio esiste, ma per ora è limitato perché l’adozione del modello è del tutto volontaria, con priorità per le scuole impegnate nelle misure di accompagnamento alle Indicazioni/2012 (CM 49/2014). Il riferimento alle Indicazioni è importante, perché in effetti il nuovo modello si ispira all’impianto culturale di quel testo. Vediamo perché.

Indicazioni Nazionali e certificazione
Le Indicazioni/2012 dedicano un apposito paragrafo alla certificazione delle competenze. Il testo contiene alcune utili puntualizzazioni. Intanto il riferimento alle competenze viene espresso attraverso i verbi “descrive” e “attesta”: sono due modalità diverse che richiamano da un lato una dimensione qualitativa (rappresentare, descrivere, argomentare, interpretare, ecc.) e dall’altro una dimensione quantitativa (misurare, confrontare, classificare, ecc.). È il dilemma della certificazione.
In senso stretto si certifica sulla base di una soglia predefinita (uno standard), cui si commisura una prestazione o un comportamento e questa azione viene compiuta da un soggetto esterno (es.: un ente certificatore) attraverso prove o esami specifici. Ma nella scuola, sulla base di quanto stabilito dalla normativa italiana (Dpr 275/1999, legge 53/2003, Dpr 122/2009) è la scuola stessa a certificare le competenze acquisite dagli allievi.
Dunque l’atto del certificare è inserito all’interno del processo formativo e spetta agli stessi insegnanti che hanno cercato di “favorire” il miglior apprendimento degli studenti, certificare il risultato ottenuto. Siamo dunque nell’ambito di una valutazione formativa, piuttosto che sommativa e/o esterna. È un buon principio, soprattutto quando operiamo all’interno della scuola di base ove l’obiettivo fondamentale è quello di stimolare in tutti gli allievi gli apprendimenti di base (potenziale di sviluppo), senza la preventiva esigenza di classificarli o stigmatizzarli. Come vedremo questa impostazione influisce sulla configurazione dei modelli nazionali di certificazione adottati per il primo ciclo.

Competenze in evoluzione
Il testo delle Indicazioni, inoltre, si riferisce alla “padronanza delle competenze progressivamente acquisite”, quindi sottolinea la dinamica evolutiva di questo processo in corso, e pone alla scuola l’impegno a “sostenere” e “orientare” gli studenti lungo il loro percorso formativo. La certificazione, così, diventa una sorta di tracciato delle competenze attese (si potrebbero anche descrivere in apposite rubriche), rispetto alle quali ogni studente viene aiutato a collocarsi, a posizionarsi, a cogliere il gradiente del suo “saper fare”. Ecco perché il voto, che tende a cristallizzare le posizioni in un valore assoluto, non è il codice più adatto ad apprezzare le competenze, e si è dunque alla ricerca di altre modalità di rappresentazione che diano conto dei livelli di progressione.
Questo equilibrio tra standard di riferimento e percorso personale dell’allievo costituisce il Leit-motiv delle Indicazioni/2012. Prima ancora di certificare – sottolinea il testo – occorre progettare percorsi didattici a partire dai traguardi fissati a livello nazionale (prescrittivi), ma poi si deve fare attenzione a come “ciascuno studente mobilita e orchestra le proprie risorse”. Anche la definizione di tali risorse (conoscenze, abilità, atteggiamenti, emozioni) rimanda ad una articolazione ricca ed alta di competenza, non meramente performativa, ma legata ad un rapporto dinamico e consapevole tra il soggetto ed il contesto in cui opera, per affrontare con sicurezza nuove situazioni-problema.

Profilo dell’allievo e competenze trasversali
Il modello sperimentale proposto all’attenzione delle scuole si struttura in coerenza con le premesse pedagogiche contenute nelle Indicazioni/2012.
Intanto gli indicatori per la certificazione si riferiscono a competenze di carattere trasversale, non immediatamente identificabili con le competenze disciplinari che sono indicate nei traguardi di sviluppo, disciplina per disciplina. Si vuole sottolineare che la formazione di uno studente dovrebbe riferirsi al “guadagno” complessivo che si osserva in un allievo, come sintesi degli apprendimenti coltivati all’interno delle diverse discipline. Inoltre, le competenze sono agganciate (anche nell’editing della scheda) alle 8 competenze-chiave che stanno alla base dei sistemi educativi europei. Si tratta di un mix di competenze cognitive (dinamiche, generative), personali, sociali, meta-cognitive, che delimitano il perimetro di una cittadinanza europea “in costruzione”.
Affinché le competenze trasversali non restino una petizione di principio viene richiesto ai docenti di indicare quali specifiche discipline abbiano contribuito in modo determinante allo sviluppo di ogni competenza. È un invito a contestualizzare, ad uscire dalla evasività, a collegare le competenze chiave agli apprendimenti che vengono promossi a scuola nell’ambito delle discipline. Ciò implica anche una didattica integrata, ove a fianco della tradizionale ora di lezione (che oggi tocca il 76% del tempo-medio di una classe) appaiono modalità più partecipate, come compiti di realtà, situazioni-problema, produzioni digitali, esperienze culturali, ecc. È possibile scoprire il valore formativo delle discipline, adottando metodi appropriati e facendo dialogare le discipline (e i docenti) tra di loro.

Oltre il voto
L’apprezzamento di una disciplina è espresso con un enunciato, sintetizzato con una lettera dell’alfabeto (A, B, C, D, da un livello avanzato ad un livello iniziale), che presenta alcuni vettori che fanno riferimento alla soluzione di problemi, al ri-uso di conoscenze e abilità, alla consapevolezza del proprio agire. Si tratta di livelli ove la progressione delle competenze è scandita dalla novità delle situazioni da affrontare, dalla complessità delle soluzioni possibili, dalla autonomia nelle procedure cognitive e nei comportamenti relazionali.
Non esiste un livello negativo (o insufficiente) di competenza, perché si opera all’interno della progressiva acquisizione di competenze (siamo nella scuola di base) e si ritiene importante dare un segnale positivo, di incoraggiamento, di sostegno e di motivazione verso l’esperienza scolastica. Il livello iniziale (“L’alunno/a, se opportunamente guidato/a, svolge compiti in situazioni note”) non è certamente adeguato e soddisfacente, ma rappresenta un indispensabile punto d’appoggio per promuovere un atteggiamento positivo dell’allievo verso l’apprendimento, per rinforzare la sua autostima, il suo desiderio di riuscita.
Oltre le 12 competenze-chiave desumibili dal profilo in uscita del 14enni, con opportuni adattamenti per l’allevo che esce dalla classe quinta primaria, è previsto uno spazio aperto in cui i docenti potranno tratteggiare un ulteriore competenza (che non sia già contemplata in quelle ufficiali) in modo da caratterizzare il profilo con qualità ad hoc (un interesse, un talento, una particolare abilità) in grado di dar conto anche di esperienze o situazioni non formali o informali che comunque concorrono a delineare il profilo dell’allievo.
Infine, la certificazione delle competenze è rilasciata dalla scuola al termine del percorso e quindi non incide sulla prova d’esame o sulla valutazione finale. Questo a riprova della sua diversa finalità rispetto alla valutazione degli apprendimenti, che assume il valore legale delle pagelle o del titolo di studio. La certificazione, in un qualche modo, arricchisce il profilo formativo di un allievo e dà conto di tratti cognitivi, personali, sociali, che spesso non trovano ospitalità nelle rigide caselle di voti e discipline.

Cosa cambia a scuola?
Il nuovo modello di certificazione risponde ad un preciso dettato del legislatore, che affida alla scuola il compito di certificare, ma sulla base di modelli predisposti a livello nazionale (e questi mancavano). Attraverso un periodo di rodaggio e di sperimentazione con le scuole si cercherà di capire se il nuovo sistema è pertinente, chiaro, fruibile dai genitori, utile a ri-orientare i sistemi interni di valutazione. Infatti se è importante arrivare a strumenti condivisi, comunicabili e comparabili (la certificazione serve anche per far dialogare sistemi scolastici, percorsi formativi, contesti formali e informali, scuola-extrascuola), ancora più importante è capire se dalla nuova impostazione potranno derivare benefici non solo formali, nelle carte, ma all’intero percorso formativo.
Ne ricordiamo alcuni:
• adeguare le procedure di programmazione, per riferire i traguardi delle competenze indicati per le diverse discipline alle competenze trasversali;
• coordinare la progressione degli apprendimenti attesi nell’ottica di un curricolo verticale (i due profili di certificazione possono rappresentare degli step intermedi da arricchire con descrizioni più analitiche);
• ampliare il ventaglio delle didattiche, dando maggior spazio a quelle di carattere operativo, partecipato e laboratoriale;
• rinnovare le pratiche valutative in una ottica descrittiva piuttosto che classificatoria.
Per certificare le competenze, ricordano le “Linee guida” che accompagnano i nuovi modelli, prima occorre pensarle (attraverso modalità innovative di programmazione non lineari), poi promuoverle (attraverso didattiche fortemente costruttive) e quindi valutarle. La valutazione dovrà prendere in considerazione la padronanza di conoscenze, abilità, linguaggi (in una ottica integrata e dunque con prove articolare, come compiti di realtà); dovrà apprezzare processi personali, sociali, operativi (con forme adeguate di osservazione); dovrà sondare la percezione e la consapevolezza che gli allievi avranno delle competenze in fase di acquisizione (con un metodo biografico-narrativo).

Verso un nuovo regolamento per la valutazione?
Il passaggio dalla sperimentazione all’adozione generalizzata di un nuovo modello, con il valore aggiunto pedagogico di cui abbiamo parlato, comporta di per sé la revisione profonda dell’attuale Regolamento sulla valutazione (Dpr 122/2009) non fosse altro per la questione dell’apposizione di un voto sulla certificazione al termine del primo ciclo. L’occasione, però, è assai propizia per rivedere in un quadro organico tutte le tematiche giuridiche connesse alla valutazione, che risalgono ad una stagione assai “forzata” (quella della re-introduzione del voto in decimi con un decreto-legge nel 2008). Una delega legislativa potrebbe favorire un ripensamento dell’intero sistema valutativo che sarebbe assai gradito alla scuola, almeno a quella del primo ciclo.
I punti cardinali di questa revisione dovrebbero essere:
a) valorizzare il carattere formativo della valutazione degli allievi, con particolare riferimento al ciclo dell’obbligo di istruzione, anche mediante opportuni adeguamenti delle modalità di comunicazione pubblica [cioè trovare un’alternativa al voto almeno negli anni iniziali della scuola di base];
b) assicurare il raccordo con le competenze chiave di cittadinanza (EU, 2006) e l’ancoraggio al quadro di riferimento europeo (EQF, 2008), così come recepiti nell’ordinamento giuridico italiano [dunque rivedere i modelli di certificazione, oggi troppo differenziati per i diversi livelli scolastici];
c) rendere coerenti i sistemi di valutazione degli apprendimenti disciplinari con la certificazione delle competenze trasversali conseguite [affrontando il nodo più difficile dell’intera questione: ancorare le competenze-chiave agli apprendimenti disciplinari, rivitalizzando entrambi gli aspetti];
d) favorire l’innovazione degli ambienti di apprendimento, nell’ottica della continuità e progressione della formazione di base [andando oltre le attuali didattiche prevalentemente frontali];
e) favorire il miglioramento delle procedure digitalizzate (registro elettronico, portfolio, ecc.) per l’osservazione, la valutazione e la documentazione degli apprendimenti e delle competenze, anche attraverso procedure standardizzate e trasparenti [oggi il registro elettronico sembra avvallare procedure assai superficiali di calcolo di medie aritmetiche];
f) apportare eventuali modifiche e semplificazioni all’esame di Stato, da far coincidere con il termine dell’obbligo di istruzione [questione di grande impatto simbolico, che secondo alcuni richiederebbe addirittura una revisione costituzionale, perché l’esame di stato va posto al termine di ogni ciclo].
Dunque, la certificazione delle competenze non è solo un attestato in più che si aggiunge agli altri, ma potenzialmente è in grado di rimettere in gioco tutta la cultura della valutazione italiana, con effetti retroattivi (si spera positivi!) sulle pratiche didattiche e di insegnamento.


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Posted 9 Marzo 2015 by admin in category articoli

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