L’anatema contro la “teoria del genere”
L’anatema contro la “teoria del genere”
di Cinzia Mion
(pubblicato su www.zeroseiup.eu)
E’ in corso da tempo una offensiva sgradevole ed inopportuna da parte di genitori integralisti, probabilmente istigati ad hoc, contro il decreto n°104/2013 meglio noto come “Ripartire dalla scuola” dell’allora Ministro dell’istruzione Carrozza che all’articolo 16 auspicava, a proposito della formazione dei docenti, “l’incremento delle competenze relative all’affettività e al rispetto delle diversità e delle Pari Opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5 del decreto 2013 n.119 (meglio noto come legge sul femminicidio). Sfido chiunque, fra quelle persone abituate a riflettere sui fatti del mondo e a non abdicare alla propria autonomia di giudizio, a non essere d’accordo con queste sacrosante parole ed auspici. Eppure… Una campagna contro “ l’ideologia del genere”, (invenzione polemica inventata per l’occasione) viene attivata quasi quotidianamente da parte della stampa cattolica e conservatrice (Avvenire, Tempi, La Nuova Bussola Quotidiana, Il Foglio,ecc.) insieme alle cosiddette “veglie” delle “sentinelle in piedi” per difendere quella che loro chiamano libertà di opinione, ma che consiste invece nell’ omofobia, facendo una subdola forma di terrorismo attraverso l’affermazione che parlare a scuola del genere significa portare pregiudizio alla “famiglia naturale”. A niente è servito anche l’appello della Società Italiana delle Storiche (SIS) nell’aprile del 2014 che recitava “Non esiste una “teoria del genere”. Con questa categoria, usata in modo fecondo in tutta una serie di discipline che ormai costituiscono l’ambito di gender studies, non si introduce tanto una teoria, una visione dell’essere uomo e dell’essere donna, quanto piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione: senza comportare una determinata, particolare definizione della differenza tra i sessi; la categoria consente di capire come non ci sia stato e non ci sia un solo modo di essere uomini e donne, ma una molteplicità di identità e di esperienze, varie nel tempo e nello spazio”.
E’ stata Simone de Beauvoir, a metà del secolo scorso, ad affermare che “donne non si nasce ma si diventa”. Infatti oggi possiamo dire che maschi e femmine si nasce ma uomini e donne si diventa. In altri termini le riflessioni sul genere possono cominciare dalla presa d’atto che la differenza sessuale, letta alla nascita attraverso gli organi genitali, si trasforma successivamente, diventando differenza di genere, mediante processi di costruzione culturale e di socializzazione molto complessi. L’identità di genere si accompagna all’accettazione psicologica della propria identità biologica. Questo però non è sempre scontato, per diverse ragioni. Esiste infatti la cosiddetta “disforia di genere” che consiste in una grande sofferenza rispetto alle difficoltà ad accettare, rispetto al sesso biologico, l’identità e il ruolo corrispettivi di genere. Il ruolo di genere è infatti l’insieme delle aspettative culturalmente (perciò in evoluzione) attribuite ai comportamenti e ai ruoli tradizionalmente assegnati a femmine e a maschi. Naturalmente ciò tocca l’immaginario collettivo e il problema degli stereotipi (altrettanto in evoluzione, si spera in evoluzione!). Gli stereotipi infatti sono delle generalizzazioni improprie, assunte acriticamente dalla cultura di appartenenza, attraverso i processi di socializzazione e di costruzione dell’identità di genere. Esistono diversi tipi di stereotipi di genere che hanno influenzato, ed ancora influenzano, la posizione assegnata alle donne e agli uomini nella famiglia, nell’organizzazione della vita e del lavoro, nei percorsi di scelta della scuola, nella partecipazione alla vita civile, politica e sociale. Questi stereotipi attraverso le loro polarizzazioni ed irrigidimenti nel tracciare le differenze di genere possono produrre fenomeni di disuguaglianza, asimmetria e discriminazione. Di questi fenomeni negativi hanno subito finora i danni e gli svantaggi più consistenti le donne, essendo costrette a sopportare storicamente le conseguenze del patriarcato e del maschilismo. Chi non vuole la lotta agli stereotipi vuole “tornare indietro”? Lo si affermi senza ipocrisia se si pensa che questo sia il modo per “salvare la famiglia “, come ho sentito recentemente affermare da una coppia neocatecuminale a Perugia! Questione diversa è però l’orientamento sessuale e amoroso che consiste nella direzione dell’attrazione psichica ed erotica di una persona, orientamento che sappiamo essere eterosessuale, omosessuale o bisessuale. Necessita aggiungere e sottolineare con forza a tale proposito che il proprio orientamento sessuale non dipende da una “scelta” razionale ed intenzionale. Pensare questo, ed argomentare intorno a tale convinzione (come fa chi aizza i movimenti integralisti) risulta essere responsabile dell’omofobia dichiarata ma anche interiorizzata. Omofobia che mai può essere invocata come “libertà di pensiero”.
A proposito di ciò Chiara Saraceno su Repubblica del 26 marzo ha affrontato la tematica con una lucidità e fermezza mirabili, rintuzzando l’ espressione del cardinal Bagnasco che con inusitata acredine ha osato affermare che la teoria del genere promuove la confusione tra maschile e femminile dando vita, per ciò stesso ad un “transumano”, privo di meta e di identità. Questo ultimo attacco appare collegato al Ddl M.Cirinnà presentato per il riconoscimento delle unioni civili, comprese quelle degli omosessuali, appena approvato dalla Commissione Giustizia del Senato e il Ddl Scalfarotto contro l’omofobia che sembra abbia ripreso il suo corso. Naturalmente la semplice normalizzazione dell’omosessualità come possibile orientamento sessuale e la condanna dell’omofobia diventano i fantasmi preponderanti della Cei in questo momento storico, che reagisce considerando sempre questo orientamento sessuale pratica contronatura ma assimilando ora l’omosessualità al rifiuto della differenza sessuale con la pretesa di collegarla in modo dicotomico e dogmatico alla differenza degli organi genitali. E’ questa la visione della complessità della persona? Ma che fine ha fatto la frase di papa Bergoglio: “Chi sono io per giudicare?”