Tra luci ed ombre. Ma dov’è la Buona Scuola?
Tra luci ed ombre. Ma dov’è la Buona Scuola?
di Antonio Valentino
Le scelte importanti del DDL
Non sottovaluterei – del DDL sulla Buona scuola – alcune novità per alcuni versi dirompenti, anche se un po’ scontate per il gran parlare che se n’è fatto.
Penso che la principale novità riguardi la stabilizzazione di 100 mila precari; la metà dei quali – come si legge nell’allegato tecnico – verrà assunto per coprire le cattedre vuote o disponibili; mentre l’altra metà servirà per incrementare e qualificare l’offerta formativa: l’organico delle scuole autonome (denominato, nel ddl, “Organico dell’autonomia”), dal prossimo anno, sarà così costituito non solo da posti comuni e di sostegno (dotazione ordinamentale), ma anche da posti di potenziamento dell’offerta formativa.
Questo tipo di organico, era già previsito nel decreto Carrozza del 2012 ((DL 5/12, artt. 50-53), ma non se ne fece nulla perché c’era ancora il vincolo legislativo (quello dei tagli – per 8 miliardi – imposti dalla L. 133/’08) che impediva di assumere personale in numero superiore a quello dell’a.s. 2011-2012.
Venendo meno questo vincolo, si aprono pertanto nuove propettive per l’autonomia; nel senso che molte delle attività previste negli ambiti della didattica, dell’organizzazione e della ricerca –sviluppo, del DPR 275/’99, avranno le risorse professionali per passare dal campo delle ipotesi a quello della realizzazione.
Si prevedono infatti – oltre alla sostituzione del personale assente (fino a 10 giorni) – la possibilità di introdurre nuovi insegnamenti cui si riconosce particolare valore formativo, il potenziamento delle competenze, scientifiche, linguistiche, digitali; percorsi di alternanza scuola lavoro e percorsi di contrasto alla dispersione scolastica; l’ introduzione di insegnamenti opzionali ulteriori rispetto a quelli già previsti dai quadri orari della scuola superiore, ….
Molto dipenderà certamente dalla qualità e dalla quantità delle risorse disponibili e dalla capacità delle scuole di farsi carico delle esigenze formative del territorio e progettare interventi all’altezza.
Ma comunque si apre un capitolo nuovo e promettente.
Lo stesso Piano triennale dell’offerta formativa, che dovrà esplicitare il fabbisogno di attrezzature e di infrastrutture materiali, nonché di posti del nuovo organico, ha non poche implicazioni positive per la vita delle scuole.
Queste esemplificazioni – ma diverse altre se ne potrebbero fare -, per dire che questo DDL alcune esigenze importanti di una buona scuola le coglie certamente.
La domanda centrale: quali le direzioni del cambiamento?
La domanda che però voglio pormi a questo punto – che mi sembra cruciale – è: cos’è che caratterizza l’impianto complessivo della riforma; quali sono le scelte intorno a cui ruota l’intera operazione e quale scuola prefigurano.
Partirei, per ragionare al riguardo, da un richiamo che è spia significativa dello stravolgimento di “visione” che questo DDL opera rispetto al documento sulla Buona scuola di settembre (che, ricordiamocelo, ha tenuto banco, nelle sue linee portanti , fino ai primi di marzo).
La stessa bozza del Decreto Legge (DL) di inizio marzo – a cui il governo aveva inizialmente pensato per accellerare i tempi dell’operazione- si muoveva su ben altre coordinate; più vicine comunque a quella che avevano ispirato il documento iniziale. Guardava, anch’essa – la bozza di DL – ai docenti, come figure centrali su cui investire, da motivare, coinvolgere, responsabilizzare, prevedendo percorsi di riconoscimento economico e di carriera (premialità).
Questa impostazione scompare nel nuovo DDL nel giro di pochissimo tempo. E al suo posto compare il nuovo testo che, come si è visto, contiene comunque diverse cose interessanti.
Ma sposa una logica diversa.
Si cambia registro. Il DS fulcro del cambiamento?
Si cambia decisamente registro. Si sceglie un’altra strada. Si punta, ora, soprattutto sul DS.
Ovviamente è scelta che ha un suo senso. Probabilmente è parsa la strada più semplice, almeno sulla carta; di fronte ad un mondo – quello della scuola – parzialmente impantanato, che fa difficoltà a ripartire; di fronte ad una classe docente deresponsabilizzata – per la gran parte – rispetto agli esiti del proprio lavoro, che ha smarrito l’orgoglio professionale e che è sempre più demotivata e arruginita (non mancano certo sacche di resistenza, di alto profilo; ma non fanno massa critica nel sistema), la via scelta è quella di caricare sulle spalle del DS – senza farsi altre domande – ogni tipo di responsabilità.
Si considerino le nuove prerogative del DS
– Sceglie – attraverso gli albi territoriali – il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia e attribuisce gli incarichi sulla base di criteri trasparenti;
– Propone incarichi per il proprio istituto a personale di ruolo già in servizio presso altre scuole
– Elabora il Piano triennale dell’OF, sentiti il CD e il CdI
– Assegna annualmente, sentito il consiglio d’istituto, una somma del fondo per la valorizzazione del merito (200 milioni a partire dal 2016) al personale docente. Ovviamente si fissano paletti: dovrà esserci valutazione, da parte del DS, dell’attività didattica e il riconoscemneto sarà in ragione dei risultati ottenuti;
– valuta Il personale docente ed educativo in periodo di formazione, sulla base di un’istruttoria condotta da un docente al quale sono affidate dal dirigente scolastico le funzioni di tutor.
È da evidenziare a questo punto la scomparsa, in prospettiva, della titolarità di sede (finora un insegnante, a meno che non intenda trasferirsi ad altra scuola o sia costretto a farlo per ragioni di soprannumerarietà, è titolare di sede vita natural durante). (Questa disposizione riguarda per ora solo i futuri assunti).
E così, la conferma o meno dei docenti nell’organico triennale successico è competenze esclusiva del DS.
Due considerazioni da non sottovalutare
Che dire? Si è voluto con le scelte in discussione alla Camera non solo fare marcia indietro rispetto ad alcune linee ispiratrici della Buona scuola che ci erano sembrate interessanti. Si è voluto anche ignorare un punto che ben conoscono quanti si interessano di cose scolastiche; e cioè che le scuole che hanno retto – e bene – in questi anni di sconquasso del sistema sono quelle in cui sono prevalse pratiche organizzative basate sul coordinamento delle varie unità operative dei docenti (gruppi di progetto, i dipartimenti, i Cdc….) e sul presidio delle aree strategiche del fare scuola (dall’orientamento alla scuola lavoro, dalla cura degli arredi all’organizzazione delle rilevazioni interne piuttosto che nazionali e internazionali….) da parte di docenti esperti e responsabili.
Questo ci dicono molte delle esperienze cui si è guardato con interesse in questi anni: cooperazione, collaborazione, coordinamento, coinvolgimento esteso.
Andrebbe almeno ricordato a questo punto – ed è la seconda considerazione – che una ipotesi di lavoro vicina a quella che si intende adottare con questo disegno di legge è stata già sperimentata nell’inghilterra di Tony Blair tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo secolo: ll DS come fulcro per attivare i cambiamenti.
I risultati – come è noto – non sono stati felici. Tant’è che le prime elaborazioni sistematiche su una leadership di scuola non più personale, ma partecipata e distribuita, sono nate – e non solo in Gran Bretagna – proprio sulla base dell’analisi critica di quella esperienza e su una più attenta considerazione della natura particolare di una organizzazione come la scuola; dove la carta più promettente è soprattutto l’idea di comunità professionale, di comunità di pratiche; e del successo formativo degli studenti come impresa colletiva.
Preoccupazioni e interrogativi
Ma andrebbe soprattutto considerato che questo modello di scuola, che ruota intorno alla gestione dell’organico nei termini visti, fa correre un rischio dal quale occorrebbe guardarsi in modo particolare: c’è dietro l’angolo infatti – è questo è un problema inquietante – il pericolo di un conformismo strisciante, di scuole come “parrocchie”, del clientelismo più o meno diffuso o almeno sospetto. Con buona pace dell’autonomia didattica, organizzativa e progettuale degli insegnanti.
Le domande che si accavallano a questo punto sono tante e alcune preoccupanti:
Si vuole tornare al modello scolastico a pettine? Tanti denti (gli insegnanti) allineati ed eguali (nei ruoli) con una regia di comando monocratica? Si tende, in altri termini, a chiudere definitivamente la stagione degli organi collegiali (e su questo, nessun rimpianto), non attraverso dispositivi di responsabilizzazione e divisione funzionale dei compiti, ma proponendo una leadership solitaria e da supereroi alla Marvel?
Certamente le prerogative del DS vanno potenziate, per liberare la macchina da condizionamenti che ne frenano il funzionamento.
Ma…, e qui l’interrogativo: una istituzione autonoma che scelga di fare fino in fondo la sua parte e che quindi voglia misurarsi con le innovazioni – ben individuate, tra l’altro, nel ddl (art. 2) – si pensa veramente che possa riuscirci con una figura di DS che assomigli in buona evidenza ad amministratore delegato; e, semmai, con un CdI trasformato in consiglio di amministrazione?
Non so se questo è veramente il modello che si ha in mente. Ma se è veramente questo, andrebbe aperta – e non solo nel pianeta scuola – una riflessione profonda, almeno sulle questioni più scottanti. E non solo e non tanto per denunciare rischi e avanzare rivendicazioni, ma per lanciare piuttosto sfide che recuperino il meglio della elaborazione e delle esperienze soprattutto degli ultimi due decenni (senza con questo negare il ruolo di regia del DS).
Qualcuno direbbe: “Se non ora, quando?”.