Ancora tre o quattro cose di Buona Scuola
Ancora tre o quattro cose di Buona Scuola
di Nicola Puttilli
1- Ogni inizio di anno scolastico è paragonabile a un piccolo percorso di guerra. C’è sempre qualche posto da titolare da coprire, ma non ci sono mai le graduatorie utili per nominare i supplenti giusti in via definitiva e comincia la via crucis dei contratti cosiddetti ex art. 40 “…in attesa di avente diritto”. E l’avente diritto arriva dopo due o tre mesi dall’inizio della scuola, dopo che, a volte, sulla stessa classe si sono avvicendati anche tre o quattro supplenti.
Ci sono classi particolarmente sfortunate il cui insegnante titolare riesce ad ottenere per più anni l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione e che quindi per più anni sono sottoposte a questo indecoroso percorso ad ostacoli. C’è stato un anno in cui i docenti appartenenti a una quasi mitica “quarta fascia” hanno scalzato i supplenti in servizio alla fine di gennaio; nella mia scuola ce n’era una bravissima su un disabile grave che se ne è dovuta andare fra la costernazione incredula dei genitori e la disperazione del piccolo alunno.
E’ così almeno dal 1981, da quando ne ho conoscenza diretta avendo cominciato a “gestire” come direttore didattico questi passaggi aberranti; per quel che mi riguarda ho sempre cercato di evitare, almeno, i disastri più penosi derivanti da queste regole assurde, destreggiandomi ai limiti della normativa, non certo per interessi personali. Qualche volta ci sono riuscito, molte altre no e di questo mi rammarico.
E’ questo il “Sistema Nazionale di Istruzione” che dobbiamo difendere a tutti i costi? La garanzia dei diritti costituzionali di tutti, meno che degli alunni e, in particolare, dei più deboli tra loro?
L’organico funzionale assegnato alle autonomie scolastiche può essere la condizione di base per superare una volta per tutte questo sistema di assegnazione del personale ingiusto e primitivo e provare a dare continuità e qualità, fin dall’inizio dell’anno scolastico, all’organizzazione della scuola.
2- L’ultimo grande intervento di formazione in servizio del personale risale al 1992 dopo i Nuovi Orientamenti per la scuola dell’infanzia ed era stato preceduto da uno ancora più vasto relativo ai Nuovi Programmi per la scuola elementare del 1985. Aveva richiesto impegni finanziari considerevoli e il supporto di un organo tecnico qualificato come l’IRRSAE. Non tutti gli insegnanti avevano ovviamente tratto lo stesso giovamento da queste iniziative, ma si era comunque trattato di un grande momento di partecipazione e di crescita professionale collettiva, non sufficiente ma comunque necessario per porre in essere programmi allora fortemente innovativi e non meno impegnativi.
Subito dopo (a metà circa degli anni ’90) i nostri sindacati pensarono bene, in un memorabile contratto, di nobilitare (derubricare) la formazione a “diritto–dovere” sancendone la non obbligatorietà e, di fatto, l’impraticabilità, almeno a livello collegiale.
A seguito delle ultime Indicazioni Nazionali il Collegio della mia scuola ha deliberato un’interessante attività di formazione per tutti i docenti. Una giovane insegnante mi ha chiesto se la partecipazione era obbligatoria, ho risposto di sì trattandosi di delibera del Collegio. Qualche collega un po’ più navigato ha ritenuto di spiegarle che sì, la formazione la facevano tutti dato che, in fin dei conti, ci credevano, ma in quanto all’obbligatorietà bastava chiedere in sindacato. E il sindacato, puntualmente, ha consigliato alla giovane docente di farselo mettere per iscritto che la formazione era obbligatoria (che poi ci avrebbero pensato loro). E così sia.
Personalmente non sono favorevole allo stanziamento di 500 euro a favore di ogni insegnante per fare liberamente fronte alle proprie esigenze culturali. Penso che le risorse possano essere meglio valorizzate a livello di scuola per realizzare le attività di formazione utili a sostenere il piano di miglioramento, esito del percorso di valutazione. E anche di questo si potrebbe discutere.
Resta il fatto che definire la formazione in servizio obbligatoria, strutturale e permanente (art.11 del DdL) mi sembra una grossa ri-conquista per la nostra scuola, soprattutto a confronto con lo sciagurato contratto del ’96.
3- L’art.25 del D.Lgs 165/01 assegna al dirigente scolastico “…l’organizzazione dell’attività scolastica secondo criteri di efficienza ed efficacia formative” e il D.Lgs 59/98 definisce lo stesso DS “…responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio”. Si tratta di norme fondanti dell’autonomia risalenti a quindici anni fa che non sottraevano al DS competenze e responsabilità di ordine formativo, ma semmai ne aggiungevano altre di ordine amministrativo e gestionale. Come queste competenze e responsabilità si siano tradotte in adeguati strumenti di gestione l’abbiamo visto, in modo fin troppo empirico e sommario ma anche molto aderente alla realtà quotidiana, nei punti precedenti di questo scritto.
Non che ruolo e funzione del DS non siano oggi importanti, lo sono eccome e lo sono sempre stati anche quando si trattava di presidi e direttori didattici. E’ quello del DS prioritariamente un ruolo di direzione intellettuale ed etica che connota, tra l’altro, il clima culturale e relazionale della scuola. E si tratta di fattori di estrema importanza, in grado di fare la differenza.
Credo, anche per esperienza diretta, che la scuola non sia paragonabile a nessun’altra azienda/impresa e che il clima cooperativo/collaborativo, sia quello di gran lunga più idoneo a garantire buoni risultati anche sul piano degli apprendimenti. Ma il clima collaborativo non basta per fare una buona scuola e poi non nasce per decreto: si fonda sulle competenze, sulla motivazione, sulla formazione continua, sulla valutazione formativa, sulla disponibilità al confronto.
La scuola è un’organizzazione complessa con precise finalità, la cui gestione non può essere lasciata al caso o alla libera sommatoria delle microdinamiche interne. Deve comunque trattarsi di una gestione professionale affidata a dirigenti capaci, formati e valutati prima e più di tutto il restante personale.
D’altro canto assegnare effettivi strumenti gestionali al DS, in misura peraltro ampiamente inferiore a quella dei loro colleghi europei e in un quadro di leadership diffusa e partecipata, significa semplicemente cominciare finalmente a dar corpo all’autonomia scolastica, che non è solamente un affascinante progetto ma una legge dello Stato.
4- Gli organici, la più preziosa tra le risorse disponibili, sono attualmente assegnati agli uffici scolastici regionali prima e alle scuole poi sulla base di parametri falsamente oggettivi che non hanno, ormai, alcun rapporto con la realtà. Dove si registra una significativa presenza di tempo pieno è norma, ad esempio, che scuole primarie con lo stesso tempo scuola effettivo abbiano organici anche sensibilmente diversi e non è detto che quella più favorita operi nelle condizioni più difficili. L’assegnazione del doppio organico avviene infatti sul tempo pieno storico, sulla base di una fotografia scattata più di vent’anni fa che non ha più relazione con la situazione attuale, riproducendo condizioni di iniquità e ingiustizia.
A livello più generale è noto che i dati OCSE PISA segnalano il nostro Paese come quello con i maggiori squilibri interni in relazione alla qualità degli apprendimenti. In un Paese così la funzione di riequilibrio e perequazione dello Stato è fondamentale e, in questo senso, mi piacerebbe interpretare l’art.6 del DdL come la possibilità di rispondere alle situazioni per come effettivamente si presentano nelle diverse realtà e nei rispettivi piani dell’offerta formativa, nonché di sostenere e supportare in modo finalmente serio e qualificato le “aree a forte processo immigratorio e quelle caratterizzate da elevati tassi di dispersione scolastica”.
Su questi temi, che sono nodi problematici da troppo tempo irrisolti, dovremmo confrontarci per trovare le soluzioni più adeguate nel rispetto del diritto di tutti, a partire dai meno tutelati. Molto, come sempre, dipenderà da come ciò sarà praticamente realizzato, dalle misure adottate dal livello centrale fino a quelli periferici e più capillari. In questo può e deve essere fondamentale l’azione e il contributo delle Associazioni professionali e delle Organizzazioni sindacali.
Lo scontro frontale, in un clima da psicodramma collettivo, serve solo a lasciare le cose come stanno e non si tratta del migliore dei modi possibile.