Sostegno: come ti vorrei…
Sostegno: come ti vorrei…
di Giancarlo Cerini
Idee a confronto sul futuro del sostegno
Confronto appassionato e partecipato il 18 giugno scorso al Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna sul futuro della figura del docente di sostegno. Sede prestigiosa, relatori puntuali, associazioni (dei docenti e dei genitori) fortemente coinvolte. Posizioni, ovviamente differenziate. Il tema è all’ordine del giorno: deve cambiare il profilo dell’insegnante specializzato, come lo conosciamo da ormai 40 anni (in pratica dalla legge 517 del 1977)? Questione non piccola, visto che nella scuola italiana (dall’infanzia alle superiori) operano oltre 110.000 docenti di sostegno. Tanto da occupare le prime pagine dei quotidiani e le attenzioni di autorevoli opinionisti, come Adriano Sofri.
La via italiana all’inclusione regge ancora o è tempo di ripensamenti e innovazioni? E che dire dell’ipotesi di modifiche alla legislazione in materia di integrazione che è contenuta nel disegno di legge di riforma della scuola, in discussione in Parlamento? In particolare, le associazioni delle famiglie dei disabili (FAND e FISH, che ne rappresentano buona parte) chiedono a gran voce che ci sia una maggiore continuità di presenza della figura di sostegno, una competenza più mirata sulla disabilità dei diversi soggetti, magari una carriera specifica e diversa, per far uscire il sostegno da una posizione di minorità e provvisorietà.
Genitori e insegnanti (e le loro associazioni)
Ma, si ribatte dal fronte “interno” dei docenti, in questo modo si rischia di perdere di vista l’idea guida dell’inclusione, che consiste nella capacità di organizzare un contesto educativo (ma non solo) accogliente per l’allievo disabile ma anche per tutti gli altri compagni. Le due posizioni sono state illustrate con motivazioni a prima vista convincenti e ricche di suggestioni. Come non dar ragione ad Andrea Canevaro, il “decano” della pedagogia speciale italiana (vista però nella sua “normalità”), quando ha parlato di sostegno di prossimità e diffuso, di rischi di un rapporto diadico insegnante-allievo, di integrazione evolutiva come possibilità di un sostegno “inatteso” (che non viene cioè erogato solo dagli addetti ai lavori). Dunque, è preferibile muoversi verso un sistema di sostegni al plurale…, non strettamente dipendenti dagli specialisti. Posizione condivisa anche dai docenti curricolari (Bagni, del Cidi), se sanno mettersi in discussione, andare oltre la lezione verbale, costruire situazioni di apprendimento partecipato, con una pluralità di mediazioni didattiche. E dai docenti di sostegno, che rivendicano la loro possibilità di essere punto di riferimento per una classe inclusiva, contitolari a tutti gli effetti, portatori di una progettualità innovativa che fa bene a tutti gli allievi.
Le associazioni dei genitori, invece, insistono su un’alta specializzazione delle figure professionali, con percorsi formativi intensi ed appropriati, non soddisfatti dagli attuali modelli “polivalenti”. (Barbuto, Istituto Cavazza). E ripropongono il loro disegno di legge, in parte recepito dalla ampia delega contenuta nella “Buona Scuola” (Faraone), che potrebbe portare a carriere separate dei docenti di sostegno e dei docenti curricolari. Quello della formazione, iniziale ed in servizio, potrebbe dunque essere lo snodo decisivo. Ecco perché gli universitari di “pedagogia speciale” -ampiamente presenti al convegno- hanno ricostruito con precisione le molte giravolte in materia di formazione dei docenti di sostegno e l’esigenza di stabilizzare il modello formativo che è ora in fase di attuazione (i corsi per il sostegno attivati nell’ambito del DM 249/2010 e del DM applicativo del 30/9/2011), con molte differenze tra gli Atenei e con una analisi fortemente problematica da parte del responsabile del MIUR (Ciambrone).
La soluzione del dilemma, nella formazione…
Ma è proprio ripensando alla formazione che si potrebbe trovare un punto di equilibrio, come hanno sostenuto in apertura Luigi Guerra (direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione di Bologna) e Marco Campione (capo-segreteria del sottosegretario Faraone). Si fa strada l’idea di assicurare un plafond formativo sui temi della disabilità a tutti i docenti che intendono entrare nella scuola italiana (riconfermando il principio che l’integrazione riguarda tutta la scuola e non solo gli specialisti), rinnovando i percorsi formativi per i docenti di sostegno (con percorsi più rigorosi e più approfonditi) ed aprendo nuove prospettive di ulteriore specializzazione approfondita su aspetti specifici (autismo, handicap sensoriali, ecc.) per figure di secondo livello.
Difficilmente si potrà avere un docente di sostegno ad hoc per il singolo allievo disabile (la ricerca della “copertura” oraria è stata stigmatizzata da Canevaro come fuorviante rispetto ad una integrazione sincera), ma probabilmente si avranno una maggior competenza per tutti i docenti di classe nei confronti dei bisogni educativi speciali (nella accezione più ampia del termine), figure di sostegno meglio preparate e con una maggiore continuità di presenza (visto l’alto tasso di “fuga” dal sostegno cui si assiste ogni anno), e la possibilità di figure specializzate in veste di consulenti e di supporto scientifico-didattico a livello di più classi e scuole per tipologie di handicap definite.
Basterà tutto ciò a migliorare lo stato di salute dell’integrazione scolastica nel nostro paese? Non è solo problema di più docenti di sostegno o di docenti diversamente qualificati: l’inclusione richiede l’intervento di più professionalità, dentro e fuori la scuola (e dunque un’evoluzione del profilo dell’insegnante di sostegno); la maturazione di un atteggiamento culturale e sociale di effettiva apertura al diverso; la riconferma del carattere solidale e non competitivo della nostra società.