Riprendo qui la dibattuta questione dei nuovi poteri del Dirigente Scolastico (DS) per cercare di cogliere e capire il modello organizzativo a cui la loro attribuzione sembra ispirarsi. Quello che si capisce abbastanza chiaramente nel testo di riforma è l’orientamento a superare il modello partecipativo dei Decreti delegati del ‘74 (gli OO.CC.), per molti versi obsoleto e comunque non in grado di garantire un governo efficace delle nostre scuole. E questo perché il livello di complessità e di problematicità è enormemente cresciuto in questi ultimi decenni e richiede più adeguati assetti organizzativi. Ma tale orientamento si intravede appena in questa riforma; risultando gli aspetti promettenti come “ingolfati” in elementi dubbi e problematici.
Si considerino al riguardo soprattutto le seguenti scelte che la riforma fa (con modalità non sempre lineari e attente a cogliere le specificità dell’essere scuola):
- Un più chiaro rapporto tra funzioni / incarichi e responsabilità. Tale rapporto è ben chiaro per la figura del DS : sia nella triennalità delle verifiche, previste sul suo operato da parte di un organo esterno, sia nei criteri e negli “oggetti valutativi” che nella legge sono puntualmente elencati. Ma è possibile coglierlo anche nella modalità prevista per il reincarico dei neo assunti (ma su questo aspetto ci sono anche interrogativi che riprenderò).
- Il superamento, più accennato che definito, di un modello organizzativo che nella letteratura specialistica viene definito “domestico” (Piero Romei) ”. Caratterizzato cioè da posizioni organizzative “sicure”, che non possono essere messe in discussione; e che favoriscono pertanto comportamenti “seduti” (non preoccupati delle responsabilità legate al ruolo e agli incarichi connessi); e tali comunque da non sollecitare riflessioni critiche dei risultati del proprio lavoro e dei propri stili professionali.
La rinnovabilità degli incarichi triennali si muove certamente in controtendenza rispetto a questo modello e non credo pertanto che possa essere demonizzata ed etichettato come antidemocratica.
Ovviamente però, il superamento di tale modello, che ancora pesa in negativo nella vita delle nostre scuole, richiede strumenti (regole, statuti) che permettano di condividere le scelte e, contemporaneamente, di evitare abusi di potere: e non solo per il rinnovo non più automatico degli incarichi, ma anche per la individuazione del personale da assumere sui posti liberi nell’organico dell’autonomia[1].
Parziale e ancora informe superamento dell’idea di partecipazione previsto dai DD del ‘74. Si avverte infatti nella legge il tentativo, indefinito nelle sue forme e nelle sue finalità, di coniugare leadership e partecipazione, lasciandosi dietro – come già accennato – il modello degli Organi Collegiali, non più adatto a fronteggiare le sfide di organizzazioni complesse e particolari, come gli Istituti scolastici.
Questi infatti richiedono sempre più leadership in grado di garantire gestione unitaria di situazioni frammentate, coordinamento interno e valorizzazione delle risorse per compiti sempre più delicati e “speciali”. Leadership che siano, cioè, leve di cambiamento, da selezionare e formare con modalità e strumenti che non possono più essere quelli finora adottati[2].
La consapevolezza che proprio l’esperienza degli OOCC ci consegna – e dalla quale questa legge sembra muovere – è che la partecipazione senza leadership serve a poco; e comunque non dà i risultati sperati. Ma – domanda – una leadership senza partecipazione (che rinuncia cioè alla conoscenza profonda della vita reale delle scuole, dei suoi bisogni, dei suoi correttivi che solo la partecipazione permette) ha possibilità di successo, ha futuro nel mondo della scuola? È questo l’interrogativo che la riforma tende a sottovalutare e che costituisce elemento di forte criticità.
Considerazioni finali. Le assenze che più pesano
Dall’insieme delle cose dette, emerge un quadro in cui prevalgono certamente gli elementi problematici, ma in cui le novità positive possono tuttavia – credo -permettere di scrivere pagine nuove e promettenti per le nostre scuole. Molto dipenderà dalla volontà di mettersi in gioco di DS e Docenti, evitando – i primi – tendenze ad una leadership personale e autoritaria (che, tra l’altro, non porta da nessuna parte) e recuperando – i secondi – il valore di una professione che ha nella cooperazione e nella dimensione collegiale dell’”impresa scuola” i propri elementi fondanti.
Ma molto dipenderà anche dalla disponibilità / capacità di associazioni e organizzazioni del mondo della scuola a sostenere lo sforzo di valorizzare le scelte positive di questa riforma e di costruire proposte concrete per superarne rischi e criticità.
Ma punto di partenza non può che essere – penso – la consapevolezza rispetto a due nodi non sciolti di questa riforma, rispetto ai quali vanno in ogni caso previste riflessioni aggiuntive e azioni in grado di venirne a capo. Azioni per le quali i referenti non possono che essere le forze di Governo e il Parlamento.
- Il nodo che emerge evidente nell’analisi precedente è quello della mancanza di riferimenti a ruoli specifici e autonomi dei docenti in quanto comunità professionale della scuola: gli insegnanti vengono “incaricati” per le loro funzioni dal DS e da lui scelti per le attività di collaborazione; elaborano il POF sulla base degli indirizzi che sempre il DS indica; sono presenti nel CdV, con una posizione che potremmo definire ancillare ….
Detto in termini più espliciti, il superamento delle forme di partecipazione dei vecchi decreti delegati viene proposto nella nuova legge in termini inopportunamente sbilanciati tra i principali attori della scena; e tali comunque da rappresentare i docenti come figure “dipendenti”, gregarie.
A creare motivazione e protagonismo non potranno di certo essere i premi in danaro ad un numero necessariamente ristretto di docenti meritevoli (che tra l’altro non fotografa neanche lontanamente l’area molto più estesa degli “impegnati a prescindere” delle nostre scuole). O il bonus dei 500 euro.
Questa “assenza” – della figura dell’insegnante come soggetto centrale – è destinata a pesare negativamente, se
- non si arriva in tempi rapidi, a una specifica legge di riforma degli OOCC che definisca forme di governance tali da recuperare il nesso tra partecipazione e leadership;
- non si prefigurano nel frattempo scenari che, in forza dell’autonomia, permettano alle scuole di sperimentare assetti organizzativi diversi.
In tali scenari – e qui riprendo e sottolineo una riflessione già svolta prima – diventano fondamentali la visione che il DS ha del suo ruolo e la consapevolezza che la sua forza non è tanto nei suoi poteri – che pure sono necessari nella gestione delle risorse – quanto nella capacità di coinvolgere e creare intese col personale su un progetto condiviso.
- Ma c’è un secondo nodo da considerare che fa da sfondo a quello precedente: riguarda la difficoltà a cogliere l’orientamento a costruire una idea di scuola, altrove definita come “comunità di intenti e pratiche condivise” e “impresa collettiva”.
La forma di premialità scelta e il bonus per la formazione previsti ne sono spia significativa.
Quello che sembra mancare è un’idea di scuola come rete di relazioni che, attraverso opportuni meccanismi, faccia emergere la centralità del lavorare insieme, del cooperare, del migliorarsi (vs individualismi di varia matrice, che costituiscono un problema endemico del nostro sistema, ora non più sostenibile)e rilanci le funzioni del coordinamento delle diverse articolazione del collegio e con esse l’unitarietà “cooperativa” del fare scuola.
“Visione”, questa, che non è la riproposizione di una utopia, ma punto di approdo di ricerche e esperienze internazionali: da ripensare ovviamente sulla base delle caratteristiche del nostro sistema e degli obiettivi da privilegiare per una sua sensata ed efficace ripartenza.
Tale assenza costituisce, in ogni caso, un elemento di debolezza strutturale che può sottrarre senso anche a quanto di positivo c’è in questa legge.
Ma di questa assenza dovrebbe in primo luogo avere consapevolezza anche ( o soprattutto?) il mondo della scuola nel promuovere rivendicazioni ed esercitare pressioni.
O no?
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[1] Per la individuazione degli insegnanti con cui coprire le cattedre vacanti, nelle sperimentazioni autonome degli anni ’80 e ’9, il preside era opportunamente affiancato dal Comitato tecnico scientifico fatto di insegnanti – pochi – apprezzati dal collegio per le loro qualità e che potrebbe essere proposta sperimentalmente anche nella Buona scuola di questa riforma La legge di riforma, come è noto, prevede un Comitato di valutazione “misto”. Ma l’idea di un CTS – e non Comitato di valutazione – nei due casi considerati, sarebbe stato preferibile perché il secondo, nell’immaginario del personale scolastico, evoca scenari sempre complicati e ritrosie giustificate; e anche perchè non si tratta di valutazione in senso stretto.
[2] Cinzia Mion in un suo articolo (“Contenuto fragile. Maneggiare con cura”) per ScuolaOggi (13 giugno 2015), a proposito della prova preselettiva per il concorso a dirigente scolastico, definisce giustamente aberrante la prova presettiva degli ultimi concorsi, che ha ruotato ” intorno al criterio della velocità nella ricerca compulsiva della pagina del test; con il risultato poi della risposta, non riflessiva, ma automatizzata da mesi di addestramento al riflesso-condizionato!”