Dirigente scolastico: leadership for learning (al di là dello slogan)
Dirigente scolastico: leadership for learning (al di là dello slogan)
di Cinzia Mion
Tra le copiose definizioni ( trasformazionale, distribuita, diffusa, educativa, integrata) oggi sembra ormai sempre più condivisa l’accezione della leadership, applicata al ruolo del dirigente scolastico, intesa come una guida orientata all’apprendimento o meglio “for learning”. E’ questa la definizione più comunemente usata negli ultimi tempi, definizione che potrebbe riassumere in sé tutte le altre.
Appare infatti in genere accettato che la funzione della scuola pubblica sia quella di garantire il cosiddetto successo formativo e i diritti di cittadinanza a tutti i soggetti che la frequentano, attraverso un efficace apprendimento e la padronanza delle competenze fondanti tali diritti.
Se parlare di apprendimento degli allievi sembra però scontato, non appare altrettanto scontato, nella prassi metodologico-didattica, che tale apprendimento riguardi nella realtà corrente non solo i contenuti delle conoscenze ma anche le competenze.
Come ci insegna Grant Wiggins (Fare Progettazione) nel suo folgorante volume che parla, a proposito di queste ultime, della progettazione “a ritroso”, l’acquisizione di tali competenze deve partire dalla comprensione profonda e duratura delle conoscenze stesse. Sappiamo invece che nella maggior parte dei casi la verifica degli apprendimenti a scuola misura solo la restituzione delle conoscenze che il più delle volte viene affidata alla memoria meccanica e quasi mai a quella semantica, come dovrebbe avvenire invece se fossimo in presenza della reale comprensione, aspetto già sottolineato da H.Gardner nel suo indovinato “Educare al comprendere”
D’altronde tale attenzione a scuola nei confronti del’apprendimento significativo dovrebbe farsi carico anche dell’eventuale disagio di “non apprendere” (BES), disagio che spesso viene ascritto alla responsabilità dell’allievo e quasi mai a difficoltà didattiche dell’insegnante. Queste ultime potrebbero essere rivelate dalla valutazione formativa, se venisse applicata. La valutazione formativa infatti consiste alla fine in un’autovalutazione della competenza professionale da parte del docente stesso, disposto ad autointerrogarsi ed autoaggiustarsi aggiornandosi di conseguenza.
Il punto perciò su cui desidero focalizzare l’attenzione di chi legge è che la leadership for learning del dirigente scolastico riguarda anche l’apprendimento dei docenti.
I docenti, adulti già professionalizzati, ma incardinati nella Pubblica Amministrazione, quindi non liberi professionisti, quando vengono sollecitati attraverso la formazione in servizio a trasformare le loro pratiche didattiche, vanno soggetti spesso a tutte le difficoltà che Mezirow spiega molto bene nel suo testo illuminante “Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti”
L’apprendimento trasformativo diventa ineludibile quando parliamo di formazione e di formazione obbligatoria come previsto dal documento ”La buona scuola”.
Ci dobbiamo chiedere allora In che senso l’ apprendimento degli adulti si può differenziare dall’apprendimento dei bambini o degli adolescenti.
Intanto dobbiamo sapere che ogni soggetto in età evolutiva ama apprendere ma in assenza di situazioni di ansia, timore dell’insuccesso, preoccupazione per il Sé, in altre parole a patto che il contesto in qualche misura non lo minacci. I bambini poi sono portatori di una motivazione “intrinseca” forte verso l’apprendimento dettata dalla curiosità, desiderio di competenza e identificazione con le persone molto significative come i docenti. (Bruner).
Per l’adulto già professionalizzato com’è il docente il discorso si fa diverso.
Non faccio riferimento qui a ritrosie, difese, più o meno inconsce, o atteggiamenti di opposizione intenzionali e ben consapevoli. Faccio riferimento al funzionamento della mente e per inoltrarmi in questo terreno mi appoggio al già citato Mezirow che afferma “ In quanto discenti adulti siamo prigionieri della nostra storia personale. Per quanto abili a dare un significato alle nostre esperienze, tutti noi dobbiamo partire da ciò che ci è stato dato, e operare entro gli orizzonti fissati dal modo di vedere e di capire che abbiamo acquisito attraverso l’apprendimento pregresso”
L’apprendimento pregresso ci fa utilizzare “schemi di significato” impliciti e taciti, che finora hanno funzionato, ma che il nuovo apprendimento richiede di cambiare.
Questi vecchi schemi di significato continuano a trattenerci nostro malgrado dentro ad altrettanto vecchie prospettive di significato di cui invece si richiede il cambiamento.
Per farla breve allora si richiede un “apprendimento trasformativo” che parta da una guida consapevole sollecitata da una riflessività intenzionale.
La guida consapevole attiene al “leader for learning”, il dirigente scolastico, che secondo me ha il compito di innescare la motivazione alla trasformazione che sarà presa in carico poi dal lavoro del formatore.
Io ricordo che nel mio collegio dei docenti avevo cura di stimolare una riflessione psicopedagogica che aveva lo scopo di far sentire “moderatamente inadeguati” i docenti rispetto a determinati argomenti che pensavo fosse ineludibile venissero affrontati.
Accettare infatti di sentirsi inadeguati sembra essere per noi adulti una condizione indispensabile per rendersi disponibili alla nuova formazione.
Insieme perciò al compito di conoscere le teorie dell’apprendimento (non intendo conoscere le diverse didattiche disciplinariste , cosa impossibile per le lauree disciplinari di provenienza nella scuola secondaria) per avere chiavi di lettura utili a decodificare anche l’impianto didattico (distinguere una lezione trasmissiva, da una didattica laboratoriale utilizzata per il problem solving, (così utile per le prove Invalsi) , un insegnamento cooperativo reciproco tra pari da una lezione collettiva, e cogliere da quale approccio teorico farle risalire e la diversa efficacia prevista e reale). Il tutto naturalmente rapportato al criterio della “comprensione profonda” basilare per l’autentica progettazione di competenze che sappiamo tutti non scaturire d’emblée dalle semplici conoscenze.
Fondamentale inoltre sarà anche riconoscere una motivazione “alla prestazione” da una motivazione “alla padronanza” (sia per i ragazzi che per i docenti).
Se questa non è una competenza dirigenziale come si potranno valutare i crediti didattici o almeno dare delle dritte al “mentor” di turno, come appare nel testo della Buona Scuola?
Ma soprattutto in cosa si differenzia allora la dirigenza scolastica dalla semplice dirigenza amministrativa?
Sento già tuonare le proteste dei colleghi vessati sempre di più da compiti amministrativi “troppo spesso impegnati a decodificare le circolari ministeriali anziché occuparsi di coordinare la progettazione educativa” (La buona scuola)
Teniamo però presente che il testo in questione sollecita anche il dispositivo dello “sblocca scuola”.
Il governo l’ha promesso, riconoscendo la propria responsabilità in tale problematica, ora lo deve rendere applicabile attraverso una riduzione drastica della burocrazia e la creazione di centri servizi in grado di alleggerire le segreterie e le incombenze dirigenziali in tali materie.
Ricordo quando sollecitavo i colleghi stremati dalla fatica ed insoddisfatti della tipologia del carico di lavoro : – Fate arrivare al Miur il vostro grido di dolore…
Ora è il Governo che sembra avere udito questo grido inespresso.
Aspetto però al varco il prossimo bando di reclutamento dei nuovi dirigenti e la realizzazione del corso-concorso, per non parlare della preselezione.( ! )
Vedremo se le premesse che troviamo nella Buona Scuola partoriranno delle conseguenze coerenti.