Ed ora, che fare ? I dirigenti scolastici tra responsabilità e conflitti
Ed ora, che fare ? I dirigenti scolastici tra responsabilità e conflitti
di Aldo Tropea
L’articolo di Giancarlo Cerini sul nuovo profilo professionale del dirigente scolastico mette con chiarezza in rilievo i ( molti) elementi di continuità e le novità rispetto alla legge istitutiva dell’autonomia nei poteri assegnati dalla legge 107 al capo di istituto.
Secondo l’ispettore socio onorario Andis, dunque, appaiono del tutto spropositate le polemiche sindacali, soprattutto dopo le modifiche passate nel testo definitivo anche a seguito del grande lavorio che ne ha accompagnato l’iter e in realtà è del tutto condivisibile la considerazione secondo cui “in generale lo “spirito della legge” è molto liberal (anzi a tratti liberista): poche regole e molta autodeterminazione a livello locale”
Ma il problema sta proprio nelle condizioni reali con cui dovrà misurarsi il capo di istituto. L’Andis, nel richiedere con forza cinque condizioni per una partenza credibile ( tra cui prioritaria la questione del distacco per i vicari, ad oggi drammaticamente irrisolta) ha sottolineato con forza nei suoi documenti come in realtà proprio sulla capacità del dirigente di giocarsi credibilmente nel nuovo contesto si giochi il destino della riforma. E’ del tutto evidente, infatti, che solo una complessa mediazione tra le diverse culture presenti nella comunità scolastica può permettere una scelta condivisa tra i molti ( troppi?) obiettivi indicati nella norma e da cui discende l’utilizzo dell’organico potenziato. Il rischio è che – in una scuola sovradimensionata e con distacchi aleatori per i collaboratori prevalga la tentazione burocratica ( più che manageriale) di una scelta verticista, del tutto contraddittoria con le responsabilità progettuali assegnate dalla legge al collegio docenti e decisionali esercitate dal Consiglio di Istituto.
Anzi, per dirla tutta, il mio timore è che scatti un comprensibile meccanismo difensivo: cambiare il meno possibile l’assetto attuale: una scelta che rappresenta l’esatto contrario rispetto agli intendimenti della legge. Per uscire da questa tenaglia occorre invece che il dirigente si qualifichi come leader capace di guidare senza imporre, di assumersi le responsabilità delle scelte rispettando il lavoro tecnico dei docenti e le competenze del Consiglio di Istituto, chiamato ad approvare il piano triennale. Tutt’altro che un uomo solo al comando, dunque, ma certamente un uomo dalla cui capacità organizzativa , progettuale , comunicativa e politica ( nel senso della sensibilità ai problemi della polis territoriale) dipende il buon funzionamento della scuola. Per dirla con il vecchio linguaggio caro all’Andis forse oggi un po’ fuori moda , bisogna insomma che sia un uomo di scuola, fortemente radicato nel contesto educativo, non unicamente o prevalentemente orientato agli aspetti puramente amministrativi.
Perché questa figura possa esprimersi adeguatamente occorre, però, che essa operi in un contesto collaborativo. Ed è qui che lo sconsiderato clima di guerriglia che ha accompagnato l’iter legislativo della 107 rischia di produrre i suoi danni maggiori. L’assemblea in orario di lavoro di inizio d’anno è purtroppo un segnale d’allarme e si caratterizza come un evidente segnale di forza: attento, dirigente, che tutte le tue scelte dovranno confrontarsi con il potere di veto sindacale.
Ora, un atteggiamento di questo genere è gestibile se sostenuto solo da organizzazioni sindacali minoritarie ed estremiste, ma se ad adottarlo fossero le grandi organizzazioni confederali, allora il discorso cambierebbe, e ne sortirebbe un clima di scontro che farebbe abortire la cultura stessa da cui è nata la “Buona scuola” e che può solo favorire un contraccolpo tra i dirigenti, alla ricerca di tutele ( oltre che di sacrosanti riconoscimenti salariali)
I risultati delle ultime elezioni per CSPI, tenutesi nel bel mezzo della battaglia contro il preside-sceriffo, parlano di una sonora sconfitta per le organizzazioni storicamente orientate a sinistra e la dicono lunga sugli esiti di certe battaglie…
Per questo io credo che sia assolutamente necessaria una ripresa forte ed autorevole di iniziativa da parte dell’associazionismo professionale, puntata soprattutto sul protagonismo dei dirigenti neo-assunti, che non a caso stanno cercando forme di aggregazione nuove, con le quali bisogna confrontarsi attivamente e con umiltà. In particolare, l’Andis deve operare sempre più in questa direzione, aprendo a tutti i livelli i propri organismi direttivi e valorizzando gli apporti dei più giovani, senza alcun timore che si consolidino gruppi dirigenti nuovi. L’ultimo congresso aveva del resto dato indicazioni forti in questa direzione, purtroppo in gran parte compromesse dalle incredibili vicende giuridiche che hanno accompagnato un po’ ovunque gli ultimi concorsi. Di converso, credo indispensabile una iniziativa coraggiosa di ripresa del dibattito pubblico con le organizzazioni sindacali, poiché è evidente che di tutela sindacale i dirigenti hanno ed avranno sempre più bisogno, anche se continuiamo a pensare che sia indispensabile un autonomo spazio associativo, senza collateralismi. I sindacati che vogliono sostenere una visione della scuola fondata sulla leadership condivisa non hanno che da dimostrarlo con i fatti, rompendo con le rappresentazioni deformanti, non proclamando guerriglie e accogliendo in una contrattazione – certo da riaprire al più presto per tutti – le rivendicazioni storiche dei dirigenti.
E’ possibile che vi sia ancora un divario così vasto e ingiustificato tra chi gestisce una scuola e il funzionario che gestisce un pubblico ufficio di dieci dipendenti, a vantaggio del secondo ? E’ possibile che il dirigente scolastico sia chiamato a rispondere anche di responsabilità altrui, per esempio ma non solo in tema di sicurezza?
Sul tema della valutazione, poi, è evidente che si tratta di un problema culturale, prima ancora che sindacale, su cui si può e si deve aprire un confronto vero fondato su protocolli concreti, prima di parlare di ricorsi a raffica o di ambiti di contrattazione rubati. La sperimentazione dei prossimi tre anni sarà perciò davvero il reale banco di prova non solo del ruolo dirigenziale ma di tutta l’istituzione, sulla base dl principio che l’obiettivo è la qualità del servizio, non il rispetto delle convenienze di questa o quella fascia del personale.
Anche da questo punto di vista, penso che l’associazionismo dei dirigenti e dei docenti possa costituire uno strumento prezioso per la difficile impresa della declinazione e misurazione degli indicatori, anche al di là del discutibile carattere “premiale” del riconoscimento del merito e della misura, in realtà assai modesta, delle risorse disponibili . La legge infatti chiarisce gli ambiti di professionalità da esaminare, ma sarà la pratica concreta a dire quali elementi saranno quelli prevalenti e come saranno rilevati.
Ancor di più questo discorso vale per la valutazione dei dirigenti. Val a pena ricordare che i cinque elementi sottolineati da Cerini costituiscono punti di riferimento irrinunciabili e riguardano tutti gli ambiti di responsabilità dei dirigenti, dagli aspetti di processo ( valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale dell’istituto, sotto il profilo individuale e negli ambiti collegiali; apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale; promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rav; ) , agli aspetti di prodotto (competenze gestionali ed organizzative; contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti e dei processi organizzativi e didattici, nell’ambito dei sistemi di autovalutazione, valutazione e rendicontazione sociale).
E’ venuto il momento di affrontare il tema della responsabilità sui risultati, che è forse quello più discusso in questi anni. Nessuna pubblica amministrazione oggi può evitare di affrontare questo nodo, tanto più se – come afferma la legge 107 – ci sia una legame strettissimo da obiettivi di progetto e risorse disponili. Per questo mi è sembrato assai preoccupante che uno degli elementi della tempesta di maggio sia stato l’infiltrarsi tra gli insegnanti di posizioni di boicottaggio delle prove INVALSI che rappresentano l’esatto contrario di una logica capace di valutare e di autovalutare come condizione di credibilità sociale.
Certo, i meccanismi dell’apprendimento sono tali da rendere pressoché impossibile il riconoscimento di un legame certo con l’operato del singolo insegnante , ma è altrettanto vero che tutta la ricerca internazionale riconosce l’influenza determinante del clima di scuola e di classe sul successo formativo dei giovani. Essa ha questo effetto positivo se c’è un’organizzazione efficace; se è capace di apprendere dagli errori; se interpreta e valorizza ciò che unisce e non ciò che divide; se opera il raccordo tra le regole valide su tutto il territorio nazionale e i bisogni del territorio. E nulla di tutto questo è possibile se non c’è un buon dirigente, come ciascun operatore e ciascun utente della scuola sanno benissimo.
Insomma, per “dare gli indirizzi” occorre poi essere capaci di valutare gli esiti delle indicazioni fornite e delle loro declinazioni metodologico-didattiche. E questo compito costituisce insieme un potere e una responsabilità.
E’ vero, ora la parola torna alla scuola, con gli occhi ben aperti sui conflitti ma anche e soprattutto sui segnali di innovazione reale.