Del merito e delle responsabilità
Del merito e delle responsabilità
di Antonio Valentino
Riprenderò in queste note alcune considerazioni critiche che Domenico Sarracino ha svolto in un articolo stimolante apparso recentemente su ScuolaOggi (“E se puntassimo sulla leva della responsabilità e del buon reclutamento?”). Considerazioni che riguardavano alcune mie posizioni, espresse in un recente contributo (“Nei panni del DS. E non solo…”) sulla questione della valorizzazione del merito, così come viene affrontata nella L. 107.
La critica che Sarracino sviluppa ai miei ragionamenti (che si potranno facilmente recuperare nel corso dell’articolo) la condenserei in tre punti:
– Altri – rispetto alla valorizzazioni sul merito – sono i problemi della nostra scuola e ben altre le leve da attivare per rimettere in moto la macchina inceppata, a partire da quelle sulla responsabilità e sul buon reclutamento.
– La questione della valorizzazione del merito , “posta in astratto”, è una “forzatura … un po’ estranea alle scuole perché proveniente da altri mondi che hanno organizzazioni e obiettivi del tutto diversi”.
– L’operazione che la legge propone è “così sfuggente ed ambigua che facilmente porta a lacerazioni”
Che occorra prioritariamente concentrarsi sulle condizioni necessarie per il funzionamento del sistema è ragionamento del tutto condivisibile, come sono anche condivisibili quelli sulle leve che egli propone: uno o più anni di prova fatti in modo sensato; “livelli specifici di controllo davvero funzionanti lungo l’iter del lavoro professionale”; oltre ovviamente a pratiche di buon reclutamento. Aggiungerei solo, per completare il quadro, una buona formazione in servizio.
Sulla questione in sé è invece difficile condividere l’affermazione secondo cui la valorizzazione del merito (che è categoria che riguarda logiche e funzionamento delle organizzazioni) rappresenta una “forzatura”, a suo avviso estranea alla cultura scolastica.
Consideriamo i termini nella legge. Gli obiettivi, esplicitati nel c. 129, sono deducibili dalle voci (aree di premialità) sulla cui base il CdV definirà i propri criteri valutativi; e cioè: incentivare la qualità del lavoro e i risultati ottenuti, rispetto alle situazioni date (nel c. 93 si cita anche l’impegno); ma anche riconoscere e valorizzare:
– “il contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica ….”
– “la collaborazione alla ricerca didattica, documentazione, diffusione di buone pratiche …”
– “le responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale”.
In altri termini, non ha solo un profilo individuale. Il senso della norma sembra essere quindi quello di favorire, premiandoli, quei comportamenti che, per qualità, impegno e risultati, contribuiscano (possano contribuire) al buon funzionamento della scuola e rappresentino (possano rappresentare) quindi una buona spinta e uno stimolo al suo miglioramento e rinnovamento.
La valorizzazione del merito (premiandolo), letta alla luce delle voci del c. 129 della Legge, sembra configurarsi piuttosto come fattore dinamico, capace di favorire – anche attraverso opportuni meccanismi premiali – motivazione e coinvolgimento.
Il merito, in questo contesto legislativo, non pare proprio una parolaccia. E non mi sembra neanche una forzatura. È piuttosto leva, di certo non estranea alla buona scuola che la utilizza, un po’ da sempre, come strategia didattica.
Sarracino, che è uomo di scuola, sa bene come il bravo insegnante è colui che sottolinea e dà valore ai meriti soggettivi dei propri allievi (i passi in avanti che riesce a fare) e utilizza spesso tali meriti (soprattutto le competenze e le capacità dei “più bravi”) per rendere più produttiva e coinvolgente la lezione e più stimolante l’ambiente di apprendimento.
Tra l’altro, il merito come valore da riconoscere è presente anche nella nostra Costituzione, laddove si far riferimento agli “studenti capaci e meritevoli” (art. 34) che, “anche se privi di mezzi hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questo per dire che la “materia” in sé non è estranea al mondo della scuola.
Nel testo di Sarracino il riferimento riguarda però essenzialmente gli insegnanti. Si potrebbe ricordare al riguardo che, per loro, fino al 1974, era previsto il “concorso per merito distinto”, abolito dai Decreti Delegati, e che la questione del riconoscimento e della valorizzazione del merito ha attraversato a fase alterne il dibattito dentro e fuori il mondo della scuola.
Probabilmente la cattiva considerazione del merito, in una larga fetta di insegnanti, è legata ai provvedimenti brunettiani del Decreto legislativo n. 150 del 2009 (non assimilabili comunque alle disposizioni della L. 107, essendone altre le logiche e gli strumenti). Ma più probabilmente deriva dal fatto che riconoscimento e valorizzazione implicano valutazione: materia che, per quanto familiare al mondo della scuola, riferita ai docenti – ma anche ai ds -, genera ansie e preoccupazioni – spesso comprensibili -. E questo sì che è un problema – da affrontare urgentemente con sensibilità e intelligenza – che ha un suo peso, nel giudizio sul provvedimento in questione.
Se, comunque, la valorizzazione in sé del merito, per come è presentata nella legge, è scelta strategica che a me pare difficile non condividere (e su questo registro il dissenso col mio interlocutore), altro invece è il discorso che va fatto sul meccanismo indicato nel testo legislativo e sul quale invece concordo con Sarracino.
Continuo a pensare infatti che la modalità premiale prevista nella legge è non solo sbagliata, ma anche nociva, perché pensata in base ad un principio classificatorio e di fatto competitivo, destinato a far nascere rivalità, divisioni e sospetti; è probabilmente la via più veloce, ma produce più problemi di quanti ne vuol risolvere e, in più, produce danni.
Aggiungo anche che, comunque, la valorizzazione del merito nella scuola deve fare i conti con la sua specificità e regolarsi quindi in forme sue proprie, se vuole favorire il miglioramenti. Meccanismi che possono andar bene in altri settori lavorativi non possono automaticamente essere proposti nella scuola, dove vanno escluse, in tema di premialità, enfasi distorcenti o forme di riconoscimento che possono nuocere al clima di cooperazione e fiducia (che resta sempre il bene – e la risorsa – più importante).
È questo un ragionamento in più a favore di meccanismi più appropriati ed efficaci di quello previsto dalla recente legge di riforma.
Ho spesso citato al riguardo quello proposto dal documento di lancio della buona scuola (sistema di crediti sui tre ambiti della professionalità docente e portfolio, finalizzato a progressione economica e sviluppo di carriera): ovviamente “liberato” dagli aspetti indigesti – comunque scorporabili – qualora si volesse affrontare la questione per risolverla al meglio.
Perché non riconsiderarlo e ragionarci?
C’è però ancora un interrogativo, che emerge dai ragionamenti svolti finora, sul quale può essere opportuno, in questa fase, fare qualche considerazione. E cioè se, pure in presenza di un meccanismo come quello previsto, la norma (che c’è, e non si può non tenerne conto) non presenti margini di manovra tali da permettere la messa in campo di proposte autonome e sperimentazioni coerenti con le finalità contenute nella legge.
La risposta che tenderei a dare su questo punto – circoscritta comunque a questo triennio – è sostanzialmente possibilista, perché guarda soprattutto, nella norma sul merito, alle voci che si riferiscono in modo particolare alla dimensione collegiale del lavoro docente e quindi alla valorizzazione – e premiazione – dei contributi e della collaborazione responsabile rispetto alle aree del potenziamento, delle innovazioni e del miglioramento; contributi e collaborazione da sviluppare dentro gli attuali spazi di lavoro collegiale (CdC, gruppo disciplinari, gruppi di progetto).
Ne potrebbero sortire, se si è dentro questa logica, sperimentazioni meritevoli di riconoscimento e probabilmente utili nella comunque necessaria rivisitazione dell’attuale impianto. Potrebbero così uscirne favorite anche forme di comunità professionali – come comunità di intenti e di pratiche – che la ricerca internazionale indica come condizione principe di un buon sistema di istruzione. E, con esse, il progressivo superamento di mali cronici della nostra scuola, a partire dall’accentuato individualismo e dall’autoreferenzialità.
Concludo riprendendo il discorso delle responsabilità, che opportunamente ed efficacemente ricorre nelle argomentazioni di Sarracino. E che convengo con lui essere un tema centrale per la nostra scuola. Però, per come viene posta nell’articolo, la questione corre il rischio – almeno questa è stata la mia percezione – di essere vissuta come un puro auspicio o un valore che basta evocarlo per vederlo concretizzato. Sarracino è stato un apprezzatissimo dirigente scolastico e sa quindi che la partita va giocata in altri termini.
Il principio di responsabilità nella nostra scuola – abbastanza misconosciuto – è stato più spesso letto alla luce di una male intesa nozione di libertà di insegnamento (più vicina all’autoreferenzialità e all’individualismo che al valore che la nostra Costituzione le attribuisce); ed è stato declinato finora
• o come responsabilità di tipo contrattuale, che tende cioè ad essere vissuta spesso come responsabilità di tipo impiegatizio (si consideri la questione dell’orario aggiuntivo all’insegnamento o dei risultati di apprendimento, rispetto ai quali, per esempio, non sempre si tende, da parte dei docenti soprattutto, a farsi carico degli insuccessi, risultando sempre di altri le responsabilità);
• o come responsabilità di tipo morale: l’insegnante come ‘missionario laico’. Questo, nel migliore dei casi (che, per fortuna, nella scuola sono numerosi).
La valorizzazione del merito – se opportunamente gestita – potrebbe invece spostare l’accento sulla responsabilità di tipo professionale, nella duplice accezione di render conto e rispondere di . E quindi a promuoverla e a favorirla attraverso opportune forme di premialità. Purtroppo però questa legge, che pure ha il merito di vederne l’intreccio, non fa la scelta giusta, a motivo, come si diceva, di un meccanismo operativo mal pensato e peggio scritto.
Puntare su autonomi progetti di scuola nei termini prima suggeriti potrebbe forse permettere di recuperare tale intreccio.
O no?