Comitati di valutazioni per il merito: tra spiragli (pochi) e incertezze (molte). Sopravviveranno?
Comitati di valutazioni per il merito: tra spiragli (pochi) e incertezze (molte). Sopravviveranno?
di Antonio Valentino
Continuano sofferenza e difficoltà delle scuole per quanto riguarda la valorizzazione del merito. Superato nella maggior parte dei casi lo scoglio dell’ elezione del Comitato di Valutazione (CdV), i problemi si sono oramai spostati sui lavori del Comitato.
Sappiamo della farraginosità dei commi della legge che riguardano la questione e delle difficoltà ad uscirne.
Le cose ascoltate, lette e pensate in proposito negli ultimi mesi, selezionate secondo un’ottica volta a mettere in evidenza il principio di responsabilità e l’importanza della dimensione cooperativa del fare scuola, sono qui raccolte in una serie di punti di attenzione rispetto ai quali si ritiene – più per percezione e rilevazioni empiriche maturate nel frattempo – che i livelli di condivisione possano essere più elevati. Eccoli di seguito.
1. È generalmente condiviso e apprezzato l’idea di premialità in base al merito (e non al privilegio, a consorterie, a scelte di potere). Che venga cioè riconosciuto e valorizzato il lavoro ben fatto e socialmente significativo. In questo senso il merito entra nella nostra Costituzione (art. 34). La sua valorizzazione può costituire inoltre spinta propulsiva verso l’impegno e la motivazione (vs logiche routinarie e impiegatizie). Quello che si rifiuta – nelle argomentazioni emerse in varie sedi – è la sua possibile degenerazione in meritocrazia. La quale si potrebbe annidare in un uso distorto, da parte del potere, di riconoscerlo e premiarlo; uso distorto che solo la presenza di criteri chiari e netti e dei principi di trasparenza e “responsabilità” (nell’accezione di render conto e rispondere di) può contrastare e sconfiggere.
2. L’elemento di più marcata novità rispetto al CCNL del ’99, che attribuiva salario aggiuntivo ad un certo numero di docenti a cui venivano assegnate funzioni obiettivo – poi chiamate funzioni strumentali -, consiste proprio nell’introduzione del principio del merito. Il bonus previsto dalla Legge infatti è un premio per gli insegnanti considerati meritevoli non tanto in virtù di funzioni ricoperte e quindi di attività svolte. I parametri previsti per l’attribuzione del bonus fanno ora riferimento a “voci” come: qualità, responsabilità, impegno, risultati, in una o più aree di cui al c. 129.
3. La seconda grossa novità riguarda l’introduzione della valutazione dei docenti nella legislazione scolastica. Infatti la norma prevede che il bonus venga attribuito sulla base di “motivata motivazione”. Va però sottolineato che si parla sì di valutazione dei docenti, ma in una prospettiva di valorizzazione e promozione, e non in termini di valutazione della adeguatezza o meno delle prestazioni professionali come giudizio di merito, e neanche di valutazione di tipo formativo.
4. Comunque, la valorizzazione del merito non va confusa con i meccanismi proposti per dare ad essa concretezza. Si tratta di cose diverse. La scelta della L. 107 di valorizzare il merito attraverso un meccanismo di tipo classificatorio (la lista dei “più bravi”) – e quindi potenzialmente competitivo -, non essendo coerente con l’obiettivo di creare nella scuola impegno e motivazione diffusa e un clima collaborativo, è destinata a creare lacerazione, rivalità, sospetti. Almeno questo è il forte timore. Perciò occorrerà far prevalere una interpretazione e una successiva implementazione che siano tali da permettere comunque alle scuole di crescere attraverso questa esperienza. Valorizzando al meglio le risorse finanziarie e strumentali (INDIRE nelle sue articolazioni) messe a disposizione. E questo è una prima considerazione problematica che non può essere estranea al CdV.
5. Tra l’altro, il dispositivo classificatorio non è il solo elemento di criticità, anche se è certamente quello che pesa di più. Il CdV è chiamato a misurarsi con altri due limiti: l’indeterminatezza del percorso (come si arriva a individuare i “premiandi”) e l’annualità come arco temporale di riferimento (mentre i processi di potenziamento, innovazione, ecc., previsti dal POF, prevedono sviluppi triennali).
6. Rispetto alle aree di premialità indicate nella Legge (insegnamento e potenziamento, innovazione metodologica, ricerca didattica e documentazione, diffusione di buone pratiche e coordinamento organizzativo e didattico, formazione del personale) e alle regioni del merito, cioè al cosa “premiare” (qualità dell‘ insegnamento e contributo al miglioramento della scuola, risultati di singoli e di gruppi per il potenziamento e l’innovazione, responsabilità assunte nel coordinamento e impegno dimostrato, indicate nel c. 129), il testo legislativo è – come tutti convengono – abbastanza pasticciato. Soprattutto perché, sul versante delle ragioni, si mettono insieme voci rispetto alle quali è difficile cogliere collegamenti coerenti e quindi il senso che si vuole dare all’attribuzione del bonus.
7. Rispetto al “chi” premiare, la norma prevista permette forse una più facile lettura se proposta come da Tabella seguente:
Considerati gli elementi di forti criticità insiti nella natura classificatoria del meccanismo previsto, nella previsione – che dovrebbe impegnare tutti, a voler essere ottimisti – di un superamento dello stesso da realizzare per il prossimo triennio (1) , le proposte più opportune e promettenti potrebbero essere quelle di circoscrivere l’attribuzione del bonus essenzialmente ai gruppi impegnati sui progetti previsti dal POF (sperabilmente su quelli per il miglioramento previsti sulla base del RAV) e ai docenti responsabili delle funzioni di coordinamento (Lascerei cioè fuori, per quest’anno, le altre aree di premialità indicate dalla Legge). Si tratterebbe, per la prima proposta, di favorire, incentivandole, le pratiche del lavorare insieme responsabilmente (cioè rendendone conto, rispondendone) superando logiche individualistiche e autoreferenziali. Coerentemente con l’idea di scuola come impresa collettiva (P. Romei) e come comunità di pratiche (E. Wenger, D. Schon). Per la seconda, il senso è quello di favorire la dimensione didattico-organizzativa della scuola. In quest’ultimo caso la soluzione sarebbe quella di incrementare il compenso già previsto per lo svolgimento dell’incarico assunto, con il bonus per la valorizzazione del merito. Queste scelte non mettono del tutto al sicuro dai rischi denunciati – perciò è bene che le si vivano come scelte “a termine”, stante le caratteristiche del meccanismo previsto. Comunque, lavorarci su permetterebbe alle scuole, nel corso di questo triennio, di tesaurizzare esperienze in ogni caso utili.
9. Tra i criteri raccolti, volti a mobilitare (sperabilmente) le energie e l’impegno di tutti, andrebbero segnalati i seguenti: a. che il bonus non scenda al di sotto di una certa soglia (che toglierebbe appetibilità al nuovo corso); b. che gli obiettivi di risultato e di processo rientrino all’interno delle scelte del Piano Triennale dell’Offerta Formativa; c. che i criteri privilegino la qualità dei processi attivati e non solo il raggiungimento e la trasferibilità dei risultati.
10. Priorità e punti comunque irrinunciabili delle scelte del CdV non potranno che essere quelli di salvaguardare e/o tendere a costruire in primo luogo un clima positivo di lavoro e di reciproca fiducia e favorire un’idea di scuola come comunità professionale, premiando l’impegno al lavoro cooperativo, curato e comunque sempre orientato all’obiettivo centrale del fare scuola: il successo formativo degli studenti. (Che son cose che si fa presto a dire. E che richiamano comunque la necessità di tenere d’occhio il principio di realtà e di evitare forzature controproducenti).
11. Comunque il vero grande problema con cui dovranno misurarsi i CdV, nella maggior parte dei casi, è la inadeguatezza diffusa di una cultura valutativa che rispetto alle voci della premialità possa individuare indicatori utili e validi. Inadeguatezza che ovviamente non può essere addebitata ai singoli o alle scuole. Almeno non unicamente. Ci sono ben altre e alte responsabilità su questo versante. La sfida è molto grande. Se ne esce probabilmente dandosi, al riguardo, un progetto di crescita professionale, di cui dovrebbe farsi carico primo fra tutti il capo di istituto. La diffusione delle buone pratiche al riguardo e il confronto su di esse potrebbe essere una pratica da sperimentare in modo diffuso, assieme ad altri strumenti messi a disposizione dall’INDIRE. E non sarebbe da tralasciare neanche, ai fini della individuazione di efficaci indicatori, una attenta considerazione del bilancio di competenze previsto per i docenti nell’anno di prova, nel quale si coglie un’idea ben definita – e condivisibile – di professionalità docente.
Ovviamente, pensando e lavorando nel frattempo a prospettive che partano da logiche premiali più promettenti e motivanti. Come quelle che legano il merito agli sviluppi di carriera e alla progressione economica. (2)
Detto questo, si propone la domanda del titolo: ce la faranno gli eroi del CdV a sopravvivere, se vorranno fare un lavoro accettabile? Perché – una proposta “indecorosa” – non attribuire a loro, per quest’anno scolastico, il bonus previsto per il merito? Affiancandoli eventualmente con colleghi disponibili e un po’ competenti (tra quelli, per esempio con incarico di coordinamento)? L’ho detta!
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(1) La stessa legge prevede che criteri e parametri per l’ attribuzione del bonus dal prossimo triennio saranno ridefiniti sulla base delle esperienze che matureranno in questi anni nelle scuole e delle indicazioni operative che ne conseguiranno. Probabilmente il legislatore era consapevole che il meccanismo proposto ha elementi di debolezza e criticità difficilmente sopportabili dalle nostre scuole. (2) Si ricorderà che il documento iniziale della Buona Scuola aveva proposto un sistema di crediti – da maturare in tre ambiti della professionalità docente (didattico, formativo e professionale) e da riconoscere ogni tre anni sulla base di una valutazione condotta da un organo in parte esterno. In base a tale valutazione, il 66% dei docenti maturava uno scatto triennale. I crediti riconosciuti sarebbero confluiti, assieme alle certificazioni di altri titoli ed esperienze, in un portfolio delle competenze, valido ai fini dello sviluppo di carriera. La proposta, oltre alla soglia del 66%, aveva un altro elemento male accolto dalla categoria: l’operazione doveva essere finanziata col fondo per gli scatti di anzianità. Per queste scelte oggettivamente pesanti fu bocciata dal mondo della scuola. Su tale proposta iniziale si sono sviluppati ragionamenti – che conservano una loro validità – tesi a “liberare” la stessa dal vincolo della soglia prevedendo il ricorso a standard di professionalità.