Reti di ambito: opportunità o gabbia?
Reti di ambito: opportunità o gabbia?
di Antonio Valentino
Un cambio di paradigma?
La costituzione delle reti di ambito, prevista dal comma 70 della L. 107 (in seguito indicata con “Legge”), sembra andare oltre la ratio dell’art. 7 del Regolamento dell’Autonomia. In quell’articolo del DPR 275, come sappiamo, vengono promosse e regolate le reti di scuola essenzialmente come reti di scopo alle quali si aderisce per libera scelta.
È possibile parlare di un sostanziale cambio di paradigma, rispetto al discorso “reti”?
Vediamo.
Forse andrebbe richiamato preliminarmente – come fa Franco De Anna, nel suo contributo L’autonomia delle istituzioni scolastiche e l’ornitorinco, apparso recentemente su ScuolaOggi.com – che di reti di ambito si parla già nella Legge di riforma delle Province (Legge 56/2014), dove si legge che “… le Pubbliche Amministrazioni riorganizzano la propria rete periferica individuando ambiti territoriali ottimali di esercizio delle funzioni, non obbligatoriamente corrispondenti al livello provinciale o della città metropolitana …”.
Nel nostro caso, sono gli Uffici Scolastici Regionali (USR) a definire l’ampiezza degli ambiti territoriali “inferiore alla provincia o alla città metropolitana”.
Il cambio di paradigma consiste proprio – penso – nella previsione di tali ambiti come articolazioni degli USR; ambiti in cui operano reti di scuole, chiamate a compiti e funzioni di diversa natura; alcuni di carattere amministrativo e gestionale[1]; altri più legati alle finalità proprie del fare scuola.
La strutturazione di tali ambiti – e quindi la consistenza di questo cambio di paradigma – non è però facile da cogliere, come vedremo.
I punti di maggior rilievo
Questi i punti che mi sembrano di particolare rilievo per orientarsi sulla materia.
- Il ridisegno prospettato va collegato ad alcuni cambiamenti di struttura introdotti dalla Legge (commi 66 e sgg):
- i ruoli (l’appartenenza giuridica) dei docenti diventano regionali e vengono distribuiti / assegnati, in base alle opzioni degli interessati, agli ambiti sub provinciali individuati dall’USR;
- la mobilità dei docenti di ruolo, fatta salva questa fase transitoria, non viene più gestita sulla base di graduatorie provinciali; prevede invece che i docenti vengano individuati dai DS a) sulla base del fabbisogno di personale espresso dal Piano Triennale dell’Offerta Formativa delle scuole; b) secondo una procedura che tende a intrecciare (far incontrare) le esigenze delle scuole e i desiderata dei docenti (gli insegnanti si possono “proporre” – fare domanda – alle scuole in cui desidererebbero insegnare; può essere previsto un colloquio docente – DS, prima della nomina).
Senza gli ambiti territoriali – che sono pertanto la vera importante novità – non potrà esserci assegnazione alle scuole degli insegnanti neoassunti e dei soprannumerari, che, dal prossimo anno, vengono assegnati agli ambiti territoriali e gestiti e sulla base delle procedure sopra descritte. In altri termini, non si potrà prescindere dagli ambiti territoriali e dalle reti che ne regolano il funzionamento.
- La rete di ambito (nel senso di insieme delle scuole organizzate in rete che operano in un determinato territorio con identiche caratteristiche) si articola in reti di scopo – sulla base di esigenze e bisogni, comuni a tutti gli istituti scolastici o a parte di essi, per la realizzazione di iniziative e progetti concordati. La presenza sul territorio di una “organizzazione strutturata” di riferimento viene assunta nella Legge – sembra di capire – come condizione facilitante per la costituzione di questa tipologia di reti (quelle di scopo).
- È da ritenere, se questa lettura è corretta (ma le Linee Guida suggeriscono altro), che la collocazione delle scuole dentro l’ambito sia automatica; e non abbia quindi bisogno di delibere di adesioni formali da parte dei CdI. Le operazioni di individuazione, già a partire dal prossimo anno scolastico, della “fetta” di docenti che, secondo la Legge, sono parte dell’organico di ambito da assegnare alle scuole, dovrebbero svolgersi a prescindere. Detta in altri termini: in assenza sia di una proposta complessiva di iniziative e progetti – condivisa dalla rete -, sia di accordi sulle modalità di gestione, sia di una struttura di riferimento, una delibera di adesione formale delle scuole alle reti non pare abbia molto senso. O no?
Ciò che è invece necessario è partire, in ogni scuola, da una informativa chiara sulle ragioni che sono alla base delle nuove reti e la condivisione di regole di funzionamento (a partire dalla trasparenza e dalla pubblicità delle decisioni) e di finalità istituzionali da portare nella nuova struttura: perché siano approfondite, messe al centro degli accordi e portate avanti.
- Rispetto ai quali accordi, va richiamato che riguardano in primo luogo l’utilizzo migliore dei docenti , da valorizzare, sulla base delle loro competenze e disponibilità, con particolare riferimento all’assistenza e integrazione degli studenti con disabilità e alla gestione di insegnamenti opzionali e specialistici (per citare le due aree dove gli accordi possono risultare più stringenti). Ma riguardano anche aree di intervento particolarmente qualificanti come
- i piani di formazione del personale scolastico e
- le risorse professionali – da destinare alla rete per le sue funzioni amministrative – e le risorse finanziarie (a cui però nella Legge non si accenna).
- Le reti di scopo, in questo nuovo quadro, si configurano come aggregazioni (verticali, orizzontali, per gradi e tipologie ), interne alla rete di ambito – ma anche aperte a scuole di altri ambiti – intorno a problematiche e obiettivi comuni.
Punti di forza e criticità
Questo, a grandi linee, il disegno che sottende alle scelte sulle reti di ambito.
Si tratta ora di capire meglio il suo senso, i suoi punti di forza e le sue criticità.
Rinvio per questo all’analisi attenta e complessiva di Franco De Anna nel suo contributo prima citato.
Mi limito qui ad esprimere alcune considerazioni aggiuntive o a latere e soprattutto alcune preoccupazioni abbastanza diffuse tra i dirigenti scolastici e non solo.
Ritengo anch’io, con De Anna, che la nuova articolazione territoriale degli USR e la sua strutturazione in rete possa rappresentare, a determinate condizioni, un passo in avanti importante per dare senso e gambe a processi di miglioramenti del fare scuola. E questo perché potrebbero risultare leve, se ci si crede e si lavora con risorse e procedure adeguate, in grado di contrastare separatezza e solitudine delle scuole e di creare le condizioni per cercare risposte condivise e solidali ai problemi comuni che, in tema di istruzione e formazione, presenta un determinato territorio con identiche caratteristiche. Penso soprattutto alle problematiche dell’integrazione e della lotta agli abbandoni, dell’orientamento e della qualificazione dell’offerta volta a favorire individualizzazione dell’ insegnamento e innovazione tecnologica. È un cambiamento – sembra di capire – che può dare voce alle scuole e metterle nelle condizioni di affrontare problematiche comuni e rendere possibile una migliore fruibilità delle risorse professionali dell’ambito.
Ma a fronte di queste annotazioni positive, vanno registrati i dubbi, gli interrogativi e le preoccupazioni, numerosi e consistenti, espressi da più parti.
Se ne sono fatte portavoce le Organizzazioni Sindacali (OO.SS.), soprattutto confederali, che temono che questa operazione non solo tenda a ledere l’autonomia delle scuole, prefigurando un “percorso coatto” per la costituzione delle reti[2], ma ignora anche le ricadute sui profili degli operatori scolastici e sulla stessa organizzazione del lavoro; e dà per scontato che alle scuole, tramite le reti, vengano trasferiti funzioni amministrative, organizzative, contabili, “in un crescendo inarrestabile di carichi di lavoro che nulla hanno a che fare con la missione fondamentale del sistema di istruzione e formazione”.
Posizioni critiche vengono anche dai dirigenti scolastici che, attraverso le loro associazioni (mi riferisco soprattutto alla recente nota dell’ANDIS), lamentano in modo particolare i tempi stretti di un’operazione che invece, data la sua rilevanza, ha bisogno di tempi più distesi per approfondire i problemi aperti e garantir soluzioni efficaci e fattibili; e ritengono pertanto che la scadenza del 30 giugno – per la costituzione delle reti di ambito – sia impraticabile.
È ovvio che qui l’obiettivo polemico sono i ritardi dell’amministrazione centrale e periferica, più che il senso e l’importanza del nuovo assetto proposto.
Difficoltà e disorientamento tra i DS. Gli interrogativi che aspettano una risposta
Si tratta di considerazioni critiche in buona parte condivisibili. Desidero però ora spostare l’attenzione su un’altra tipologia di problemi e citare a questo punto il testo di una email che mi è arrivata recentemente da parte di una DS che opera in Lombardia. In tale email, la DS, dopo aver richiamato la data di convocazione per “aderire alle reti di ambito” e di aver aggiunto che non aveva avuto modo – e “non per disattenzione o sottovalutazione” – di approfondire le questioni collegate, così conclude: “… Io ho capito che ci si chiede di aderire e firmare. Ho fatto deliberare dal CdI una adesione al buio”.
Siccome si tratta di collega che ha dimostrato, nella direzione del suo Istituto, di essere tutt’altro che sprovveduta e disattenta, le riflessioni da fare – partendo da questo “sfogo” da leggere come un gesto liberatorio e come un segnale di disorientamento – tendono a spostarsi sul terreno cruciale della gestione, da parte dell’Amministrazione, dei cambiamenti previsti. E delle relative responsabilità.
Una domanda prima di tutto: le Linee Guida emanate dal competente Ufficio del MIUR il 7 giugno scorso, a parte il ritardo della loro trasmissione, rispondono alle preoccupazioni sopra espresse? Con tutta la buona volontà, è difficile considerare linee guida quelle Note del Dipartimento responsabile. Non ci si aspettava ricette onnicomprensive. Ma non basta neanche ricondurre, come si fa nel documento ministeriale, gli strumenti di governo degli ambiti essenzialmente alle Scuole capofila e alle Conferenze di Servizio (che pure richiederebbero tra l’altro esplicitazioni a parte), tralasciando di
- affrontare il problema di una struttura adeguata che permetta una gestione solidale e collaborativa dell’intera operazione, e prospettare soluzioni,
- chiarire il ruolo degli organismi collegiali delle scuole che fanno parte delle reti, e approfondire il ruolo del DS in queste nuove configurazioni; e, quindi, in che misura l’autonomia delle scuole impatta con queste nuove articolazioni regionali,
- fare i conti con i dubbi e i timori che riguardano i rapporti con gli Uffici Scolastici Territoriali (UST), e prospettare i necessari rapporti con gli Enti locali e dare ad essi consistenza istituzionale,
- precisare come affrontare il problema delle risorse professionali di area amministrativa e contabile – e del loro profilo – in tutta questa operazione,
- chiarire come cambiano gli UST e come verranno riutilizzate le risorse di cui dispone; e, in relazione alla governabilità dell’ambito, quali rapporti tra la rete e l’USR,
- assicurare il proprio impegno nell’intera operazione e la disponibilità non solo a favorire processi di razionalizzazione, ma anche a garantire i supporti necessari. L’ossessione con cui nella Legge si ripete la formula “senza oneri aggiuntivi” è una spia preoccupante in proposito.
Se queste, ad oggi, sono ancora questioni aperte e se alto è il disorientamento, è evidente che qualcosa non ha funzionato e continua a non funzionare nel rapporto tra le scuole e il Ministero. E non basta affermare – come si legge in una recente nota ministeriale sulla questione – che la scadenza per la costituzione delle reti non è perentoria ma ordinatoria.
L’impressione che si ha è che sia mancata e continui a mancare, ancora una volta, una adeguata attenzione ai problemi di fattibilità; con particolare riferimento a tempi, modi, strumenti e risorse perché una operazione come questa, ambiziosa e importante, possa dare risultati.
P.S. Stefano Stefanel, in un suo recente articolo (“Reti di ambito: … Ma non vedete il cielo”), che ho letto solo ora su questa stessa rivista, avanza la seguente proposta in risposta alle proteste per la scadenza del 30 giugno: “Poiché la titolarità di Ambito inizia dal 1° settembre 2016 forse è meglio avere una Rete già costituita, che poi si dota di una sua governance nei tempi dovuti. (…). Entro il 30 giugno c’è da compiere solo l’atto formale della loro costituzione.”
La cosa che preoccupa di questa posizione – che va letta in parallelo con il messaggio della DS prima richiamato – non è la proposta in sé (che nasce tra l’atro da considerazioni che, per quanto non condivisibili in alcuni passaggi, hanno una loro linearità); ma l’impressione che se ne ricava. L’’impressione cioè che ragionamenti di questo tipo – che trasformano una scadenza importante (la costituzione della rete di ambito) in un adempimento puramente formale – rappresentino l’anticamera di un’operazione destinata a creare non solo ulteriori ambiguità, fraintendimenti e dissapori, ma anche acquiescenza e subalternità; e, quasi certamente, nessun miglioramento per le nostre scuole.
Non è ovviamente quello che Stefanel auspica. E di questo c’è da esserne certi, conoscendo la persona. Ma le premesse ci sono tutte perché le conseguenze prospettate si verifichino puntualmente.
[1] Il comma 70 così esplicita gli adempimenti amministrativi a carico delle istituzioni scolastiche da gestire in rete: “ l’istruttoria sugli atti relativi a cessazioni dal servizio, pratiche in materia di contributi e pensioni, progressioni e ricostruzioni di carriera, trattamento di fine rapporto del personale della scuola, nonchè … ulteriori atti non strettamente connessi alla gestione della singola istituzione scolastica”.
[2] I ragionamenti delle OO.SS. però non distinguono, almeno nella loro recente nota congiunta, rete di ambito e reti di scopo e a differenziare le valutazioni sui “percorsi”relativi alle due tipologie;