Ernesto Galli della Loggia, le bocciature e la cassa integrazione
Ernesto Galli della Loggia, le bocciature e la cassa integrazione
di Stefano Stefanel
Con l’articolo Le scuole italiane e il tabu delle bocciature (Corriere della sera, 29 aprile 2017) Ernesto Galli della Loggia ha collegato la scarsa serietà della scuola italiana con le poche bocciature e la non selettività dell’esame di stato (l’ex esame di maturità). La superficialità con cui chi non fa parte del mondo della scuola affronta i problemi di scuola molto spesso fa scambiare delle idee generali e confuse per proposte rigeneratrici.
L’esame di stato conclusivo non è selettivo, ma non lo è neppure l’esame di laurea con la discussione della tesi. Perché dovrebbe essere selettivo un esame che sancisce la fine di un percorso? L’Università ha mai bocciato un candidato che discuteva la tesi di laurea? Quello che si può dire è invece che l’esame di stato è molto difficile, per nulla selettivo e molto inutile. Inutile non perché non boccia, ma perché altera le scelte degli studenti prima dell’ingresso all’università o nel mondo del lavoro costringendoli ad una gigantesca prova tuttologica nel momento in cui di certo non si è tuttologi (19 o 20 anni).
La questione delle “poche” bocciature italiane merita poi un punto esclamativo. Poiché sia l’Ocse, sia l’Unione Europea certificano che siamo uno dei Paesi dell’Ocse col più alto tasso di dispersione e certamente il Paese dell’Unione Europea tra i più sviluppati con il più alto tasso di dispersione. O questi organismi mentono insieme ai dati che forniscono oppure si boccia troppo e non troppo poco. Con il termine dispersione si intendono gli abbandoni, la non frequenze e appunto le bocciature. Firmiamo protocolli (Lisbona 2000, Eu 2020) in cui ci impegniamo a ridurre drasticamente la dispersione, ma poi ci troviamo ad inneggiare a chi invoca maggiori bocciature.
Il sistema italiano boccia e non sa cosa fare dei bocciati, che devono ripetere le stesse cose (sia quelle che sanno sia quelle che non sanno) senza che vi sia un sistema organizzato di recupero (magari per livelli, non per anni). Ogni bocciatura ci costa dai 15.000 ai 30.000 euro l’anno (dati Ocse) e questo conto non solo non ci spaventa, ma quasi ci convince che più soldi buttiamo più siamo seri e rigorosi.
Un piccolo dubbio però insorge sui 6.000 dirigenti non valutati e sugli 800.000 insegnanti non valutati che valutano gli studenti e di fatto sanciscono la più grande dispersione del mondo progredito. Forse qualcosa non torna nei conti e nelle ideologie. Siamo talmente ossessionati da ciò che sta in basso che non riusciamo ad alzare la testa. L’importante è bocciare, non fare in modo che i migliori abbiamo quello che gli spetta (un lavoro a tempo indeterminato a 23 anni, ad esempio). Così non potendo dare ai migliori la soddisfazione di veder premiati i loro sforzi riteniamo che i migliori possano essere contenti vedendo i molti bocciati. La promozione non è un valore in sé, ma vale solo se ci sono i bocciati.
Questo ridicolo modo di pensare poggia le basi su due grandi pilastri del sistema scolastico: il valore legale del titolo di studio (è più importante il “pezzo di carta” del come e del dove quel titolo è stato acquisito) e le classi di concorso, attraverso cui si insegna agli studenti non ciò di cui abbisognano, ma quello che sta scritto in antichi programmi che stanno alla base delle abilitazioni dei docenti, che neppure per un attimo nel loro corso di studi hanno dovuto studiare come si valuta l’apprendimento degli studenti.
In Italia si boccia troppo fondamentalmente perché le scale di valutazione sono soggettive e in virtù della libertà di insegnamento ognuno degli 800.000 scrive i numeri che vuole in riferimento alle prestazioni che interessano a lui. E infatti l’ostilità verso l’Invalsi viene dal mondo della scuola, non dall’esterno.
Le bocciature sono come la cassa integrazione: ti faccio ripetere anche se non so se serve, ti tengo in cassa integrazione anche se non faccio niente per risolvere il problema che ti ha portato lì. Gli eccessi sono il quasi milione di ragazzi dal 17 ai 25 anni che non fa niente (non studia e non lavora) e i 7 anni di cassa integrazione concessi ai lavoratori Alitalia per traghettarli da un fallimento all’altro. Non avendo successo l’Italia si avventura a contare i bocciati e dato che giudica che sono troppo pochi ne invoca altri. Incurante – come Galli della Loggia – di quello che il mondo dice di noi e delle strade che ci indica di percorrere.