Per una didattica delle emozioni. La prevenzione del disagio attraverso la competenza emotiva
Per una didattica delle emozioni. La prevenzione del disagio attraverso la competenza emotiva
di Rossella De Luca
A partire dallo scorso anno scolastico, un istituto comprensivo delle Marche ha introdotto nel proprio curricolo di scuola come disciplina l’ “Educazione alle emozioni”, ovvero un’ora settimanale di lezione, con tanto di valutazione, all’interno della quale i bambini possono raccontarsi e
condividere con compagni e insegnanti il proprio mondo interiore, un’ora per promuovere il benessere in classe e prevenire il disagio nelle sue diverse forme (bullismo, dipendenza, aggressività, abbandono scolastico).
Appare particolarmente interessante questa sperimentazione, che sollecita i bambini a raccontarsi, disegnare, mettere per iscritto le proprie emozioni e nel contempo immedesimarsi in quelle dell’altro.
Delusione, rabbia, collera, gioia, rancore, tristezza, paura, sorpresa, malinconia, vergogna, disprezzo, disgusto sono tutte emozioni, che si differenziano da stati d’animo e sentimenti per aspetti quantitativi e qualitativi.
Pur avendo in comune tra loro componenti cognitive e motivazionali, le emozioni danno in qualche modo origine ai sentimenti. Esse rappresentano un’interpretazione interna a uno stimolo esterno, coinvolgendo la relazione con l’altro ed è ormai dimostrato che imparare sin da piccoli ad ascoltare le proprie emozioni può determinare cambiamenti a livello fisiologico, comportamentale e psicologico, insegnando a mettersi in discussione, ad accettarsi, ad aprirsi al confronto.
Gli antichi non riuscivano a spiegare le emozioni, non ne avevano una vera e propria percezione.
Omero le narra con il linguaggio del corpo (il luogo di raccolta e di ascolto del gioco delle forze e delle emozioni è il thymòs) e quando deve spiegare come e perché Achille, offeso nel suo orgoglio, mentre sta per estrarre la spada per uccidere Agamennone, riesce a controllare la sua ira, fa intervenire la dea Atena, inviata da Era, che lo trattiene – afferrandolo di spalle per i capelli – con parole di misurata saggezza e pacatamente gli spiega che è inutile sfogarsi con la violenza, mentre è preferibile usare la verità delle parole: doni tre volte superiori al maltolto spettano a chi saprà controllarsi. Allora Achille, seppur a malincuore, ascolta la dea e, rimessa la spada nel fodero,
offende pesantemente Agamennone, proclamando anche che non avrebbe combattuto più al suo fianco finché non avesse riparato quel torto.
La psicologia oggi ci ha insegnato che le emozioni (dal latino emotus, participio passato del verbo emoveo, che significa “trasportare fuori”, “smuovere”, “scuotere”) sono alla base del comportamento individuale e sociale, con ampie ripercussioni sullo sviluppo intellettivo e culturale dell’individuo. Esse, infatti, coinvolgono l’ambito affettivo, cognitivo, motivazionale.
Il sociologo S. Gordon ipotizza che la trasformazione delle emozioni in sentimenti si realizzi attraverso tre processi: differenziazione (elaborazione della materia emozionale in moduli complessi, coordinati con la variabilità sociale), socializzazione (con coinvolgimento di processi sociali e adozione di modelli, attraverso i quali l’esperienza matura è appresa dai membri della cultura), controllo (che permette la determinazione sociale delle emozioni attraverso interventi normativi che le portano in linea con le regole della società).
In un momento in cui sono sempre più evidenti nei giovani problemi di natura emozionale, che si manifestano con disturbi di ansia o legati alla depressione, difficoltà di concentrazione e di attenzione, diventa fondamentale costruire un curricolo che, attraverso il potenziamento della competenza emotiva, insegni ad identificare e denominare le emozioni e a saperle riconoscere ed esprimere in se stessi e negli altri, valutarne l’intensità per imparare a pensare e decidere meglio.
L’intelligenza emotiva passa oggi non tanto attraverso il controllo delle emozioni, quanto attraverso una serena accettazione e una corretta gestione.
Se, infatti, oggi le relazioni passano attraverso canali non più one-to-one e sono arricchite e nello stesso tempo modificate dall’utilizzo delle nuove tecnologie, risulta quanto mai rilevante aiutare i bambini prima e gli adolescenti poi in questo delicato processo di riconoscimento e scoperta del sé e dell’altro.
La dimensione emozionale dello studente è sicuramente importante, perché in grado di condizionare sia il rapporto con le singole discipline di studio sia l’intera esperienza scolastica.
Nell’apprendimento, come ormai tutti sappiamo, non giocano un ruolo di primo piano solo l’intelligenza e la razionalità, ma anche (e forse soprattutto) le emozioni.
Se non ci fosse coinvolgimento delle proprie risorse emotive, difficilmente potrebbe esserci interiorizzazione dei saperi e dei significati: un’attività didattica basata su procedure rigide e rigorose sarebbe inevitabilmente votata alla demotivazione e all’insuccesso, perché ignora la complessità dell’individuo e le sue peculiarità.
Del resto, già Piaget aveva evidenziato l’interazione fra cognizione e affettività, quando scriveva: “In ogni condotta le motivazioni e il dinamismo energetico dipendono dall’affettività, mentre le tecniche e l’adeguamento dei mezzi impegnati costituiscono l’aspetto cognitivo. Non esiste, quindi, un’azione puramente intellettuale e neppure atti puramente affettivi, ma sempre e in ogni caso, sia nelle condotte relative agli oggetti, sia in quelle relative alle persone, intervengono entrambi gli elementi, giacché l’uno presuppone l’altro”.
Anche D. Goleman e H. Gardner sottolineano il collegamento tra emozioni e memoria e la funzione dell’emozione propedeutica all’apprendimento, da inglobare nella didattica, soprattutto per trasformare la formazione in condivisione e costruire un clima umano positivo.
Da anni, ormai, le programmazioni didattiche puntano sul potenziamento delle life skills e già Bandura, teorico dell’autoefficacia, teorizzava che la dimensione emozionale esercita una notevole influenza sull’intero processo di apprendimento, poiché porta la persona a percepire se stessa e il contesto a seconda delle situazioni sperimentate.
Non si può più dunque trascurare o dimenticare nella prassi didattica la valorizzazione della dimensione emozionale all’interno del processo di insegnamento/apprendimento.
Metodologie diverse possono poi generare approcci inclusivi ed efficaci per tutti. Appare sempre più necessario, dunque, uscire fuori dal comodo riparo della lezione frontale ex cathedra per aprirsi a contesti di apprendimento efficaci e motivanti: il tutto risiede in quel complesso sistema di naturacultura di cui ciascuno di noi è costituito e continuamente ricostituito nella dimensione spaziale e temporale.
Appare, infine, necessario sottolineare ciò che già D. Goleman, teorico dell’intelligenza emotiva, ricordava, e cioè che, a conti fatti “ciò che è fondamentale sviluppare è la competenza di sé, la capacità di dominare le emozioni invalidanti, la sensibilità verso le emozioni altrui e le capacità interpersonali, e che le fondamenta di questi atteggiamenti si costruiscono sin dall’infanzia”.
I risultati – a parere degli esperti – sembrano essere assicurati e gli studi di neurobiologia e di neurofisiologia confermano la validità del percorso: alunni più rilassati e collaborativi, meglio disposti ad apprendere e meno conflittuali, aggressivi e oppositivi e in generale un miglioramento della qualità delle relazioni, con tecniche adatte a seconda delle diverse fasce di età.
Ne esce avvalorata l’idea che metodologie diverse possono generare approcci inclusivi ed efficaci per tutti, se si riesce ad uscire dal comodo guscio della lezione frontale per aprirsi a contesti di apprendimento sfidanti e motivanti.
Bibliografia
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Milano 2009.
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